Åre Campione del mondo. Suona bene. Suona davvero bene. Era ora Domme! Era ora Italia maschile, cui una medaglia mondiale mancava da sei anni, dal giorno in cui sempre lui, Dominik Paris, aveva vinto l'argento in discesa a Schladming, nel 2013, dietro a Svindal. L'oro mancava addirittura da otto anni, Garmisch 2011, quando Christof Innerhofer inaugurò il suo Mondiale magico con la vittoria proprio in superG. Sempre Inner aveva poi vinto due medaglie ai Giochi olimpici di Sochi 2014, ma dal 2015 le cose non erano più girate bene. Fra errori, nevi sgradite e quarti posti, i velocisti sempre protagonisti in coppa del mondo ai grandi eventi per un motivo o per l'altro fallivano sempre. Fino a ieri, fino al superG che ha aperto il programma maschile di questi Mondiali che, si è già capito, faranno soffrire, ma anche divertire.
L'ingrediente principale per rendere una gara di sci davvero spettacolare è la pista e quella di Åre è tutt'altro che banale, tanto più per via della luce che va e viene. Ieri Paris aveva il pettorale 3 come Sofia Goggia il giorno prima. Aveva scelto il numero basso confidando nelle previsioni meteo che davano nuvole in arrivo verso le 13, ma le cose sono andate esattamente al contrario rispetto a 24 ore prima. I primi sono partiti al buio, la luce è arrivata attorno al numero 15. Come Sofia anche Dominik appena tagliato il traguardo ha scosso la testa come a dire no, niente da fare, ho sbagliato troppo, non basterà. Invece è bastato, forse perché fra gli uomini non c'è un robot infallibile di nome Mikaela Shiffrin, ma tanti atleti consapevoli del fatto che per vincere bisogna rischiare, dalla prima all'ultima porta. E rischiare quando viaggi su due assi di legno a oltre cento all'ora senza vedere cos'hai sotto i piedi non è il massimo, l'equilibrio è instabile, sbagliare tempismi di azione e linea diventa automatico. Nessuno è stato perfetto ieri, Domme ha vinto perché forse lo voleva più di tutti o forse, più semplicemente, perché in questo momento è il più forte di tutti.
Titolo meritatissimo dunque, la consacrazione che mancava, perché è vero che vincere le grandi classiche della coppa del mondo come Kitzbühel per molti ha ancora più valore di una medaglia d'oro, ma è anche vero che a Paris quel che mancava era la continuità ad alto livello, raggiunta finalmente in questa stagione che lo ha visto protagonista fin dalla prima gara a fine novembre. «È un sogno che si avvera, ma aspettare al traguardo mi ha fatto congelare, oh... ma che freddo fa qui? Dove ho vinto? Nella parte centrale, lì mi sono sentito veloce, ma quell'errore in fondo mi è costato davvero tanto e non pensavo proprio di poter restare davanti a tutti. Mi è andata bene perché gli altri hanno sbagliato ancora di più. Vincere è sempre un caso, ma forse stavolta no, abbiamo lavorato tanto per trovare continuità in tutte le condizioni e lo sviluppo che ho fatto sui materiali mi dà molta fiducia. Finalmente posso sciare a modo mio su tutte le nevi. Oggi però non è stato tanto divertente, non avevo mai fatto una gara così difficile, scendendo mi sentivo sballottare a destra e sinistra, su quelle onde del terreno andavo largo e lungo ovunque».
Dopo aver dato spettacolo in pista, Dominik Paris fa divertire anche fuori. «Ancora domande? Ma come fate a scrivere tutto quello che vi ho detto? Non ci credo che scriverete tutto». Le sue risposte sono uno spasso: come scii? gli chiedono. «Veloce. Non ti basta? Cosa vuoi che ti spieghi come scio, non puoi mica scriverlo! Scio a modo mio, guardami. Emozioni? Macché, io non sono uno che si emoziona».
Quanto tempo è passato dagli anni in cui il gigante della Val d'Ultimo sceglieva di passare un'estate pascolando le mucche in mezzo ai monti lontano da tutto per togliersi dai giri sbagliati. Campione del mondo, era ora, perché Dominik, ora si può dirlo, è il velocista italiano più forte di tutti i tempi. «Ehi, ma non è finita eh, c'è ancora la discesa».
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