Le lacrime di Nole, il senso olimpico del tennis

Tante le emozioni del tennis alle Olimpiadi 2024, non solo per gli spettatori

Le lacrime di Nole, il senso olimpico del tennis
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Perché dicevano che ai tennisti non fregava niente delle Olimpiadi. Era un po' la domanda del giorno: ma che ci fanno li? Poi arriva il giorno in cui vedi Novak Djokovic tremare come un bambino mentre versa le sue lacrime sulla terra rossa di Parigi, con Carlos Alcaraz che piange per aver perso una finale. E poi Lorenzo Musetti che si emoziona salendo sul podio, prima che Sara Errani e Jasmine Paolini impazziscano di gioia per celebrare un trionfo sognato da bambine. Tutto questo mentre Jannik Sinner, il grande assente, da lontano confessa: «Quando ho saputo che avrei dovuto saltare i Giochi mi si è spezzato il cuore». Allora: ne siete ancora sicuri?

Si, è vero, i tennisti da questo torneo escono senza un dollaro di più di quando sono entrati, eppure ci sarà il perché se uno che ha vinto tutto non riesce a frenarsi dopo aver regalato l'oro alla patria. Il numero uno di tutti i numeri uno, il più vincente a cui non è mancato nulla e a cui invece mancava qualcosa: «Era la mia quinta volta, e dopo un bronzo a Pechino 2008 ho raccolto solo tre semifinali. Non riuscivo a capire il perché». Djokovic insomma sarà uno dei simboli di questa Olimpiade, che a regalato un tennis di alto livello e due finali giocate fino all'ultima goccia di sudore. Anche ieri, nel match finito in due set (7-6, 7-6) ma in quasi tre ore di gioco, per cui immaginatevi cosa sarebbe successo se ne fosse stato giocato anche un terzo. Novak ha vinto, Carlos non può avere rimpianti: hanno dato tutto quello che avevano, e forse un po' di più. E forse era destino che il serbo completasse il Golden Slam della carriera baciando la bandiera della Serbia, l'orgoglio per cui a Tokio si era giocato la possibilità di fare il Grande Slam, di entrare definitivamente nella leggenda, se non fosse arrivato poi a New York mentalmente sfinito solo perché si era intestardito ad esserci. Perché, si sa: Olimpia è il posto scelto per gli Dei. Ieri, finalmente, la sua grande rivincita, la medaglia d'oro, l'eternità sportiva, il pianto irrefrenabile che giustifica un'emozione impossibile da raccontare: «È stata una battaglia ha detto alla fine e adesso sono sotto choc. Ho messo il mio cuore, la mia anima, il mio corpo, tutto me stesso per vincere l'oro a 37 anni. Era importante per me, per la mia nazione. Lo volevo a tutti i costi». Capito?

Finisce così il tennis a Parigi, mentre tutta l'Italia canta l'inno per celebrare due ragazze coraggiose che ha buttato il cuore oltre l'ostacolo. Finisce così anche il dibattito se davvero Djokovic possa essere il più grande di sempre, perché quanto meno nella sua Serbia nessuno può avere più dubbi.

Finisce così, e sul Roland Garros cala il sipario: «Non ho visto molto - ha spiegato Sinner -: mi faceva troppo male». Appuntamento - per lui, per Carlos e per chiunque fa sogni d'oro - tra 4 anni a Los Angeles. E nessuno a quel punto potrà farsi più domande sui tennisti.

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