L'eroe dei due mondi che stregò Ferrari

Surtees, l'unico a vincere il titolo in moto e in F1. Litigò con il Drake perché era come lui

L'eroe dei due mondi che stregò Ferrari

Con John Surtees abbiamo perso l'ultimo campione dei due mondiali, moto e Formula 1; l'ultimo ad aver emulato le gesta di Tazio Nuvolari e di Achille Varzi, fino ad Alberto Ascari, nell'era moderna. Ed è per me un immenso dolore, perché, d'un paio d'anni più anziano di lui, gli sono stato sempre molto vicino, specie nei momenti più difficili. Il tempo vola, si sa. Mi sembra ieri quando l'ho incontrato in un aeroporto - era in perfetta forma - e gli ho riportato alla mente gli episodi migliori: «Ricordi quando a Zandvoort, nel 1961, con una Cooper-clienti, contro le F1 ufficiali, hai fatto la pole position in 1'295?» Rideva divertito a quel revival. E, di rimando: «Ma tu come fai, dopo tanti anni, a ricordare con precisione, quel tempo-record?». Certi avvenimenti si imprimono nella mente e vi rimangono indelebili. Agonisticamente, i ricordi più strepitosi sono quelli del Nürburgring, con le sue 174 curve in 22 chilometri, e del Messico o di Monza. Sempre ai limiti quando massime erano le difficoltà. E in gioventù, all'epoca delle moto da gran premio, voleva sempre sapere dei campioni che l'hanno preceduto: E Bandirola? E Pagani? Con le quattro cilindri 500, come la sua MV-Agusta. E Duke, prima re delle Norton mono e poi dominatore con la Gilera a quattro cilindri? Quindi, la Ferrari: come guidava lui la 158 era fenomenale, pur essendo stato anche alla scuola delle grandi vetture Sport, potentissime. A un certo punto, in una svolta delle più delicate, Ferrari ha voluto perfino richiamarlo e diceva: «Lui che è il figlio del vento, può tornare al Nürburgring e vincere!».

Effettivamente, Ferrari aveva una vera adorazione per quel campione, che lo riportava ai tempi eroici dei grandi personaggi degli anni Cinquanta. Non ho mai capito alla perfezione quel duro passaggio del 1966, con quel suo brusco licenziamento. Ricordo il GP del Belgio a Francorchamps del 1966, con la Ferrari 3000: partenza in prima fila, accanto ai favoriti Stewart e Rindt, e la sua clamorosa vittoria. Un campione così non si può mettere alla porta. Ricordo la chiamata di Ferrari, a Maranello: non eravamo più di tre o quattro invitati. Che dolore. Anche perché non era tutto veramente chiaro. «E per noi, via Dragoni!», titolai sulla Gazzetta dello Sport. Anche se Dragoni era uno sportivo appassionatissimo, milanese, della Scuderia Sant'Ambroeus, divenuto ottimo direttore sportivo del Cavallino. Surtees era pallido e tesissimo. Solo dopo è affiorata la storia di lui come costruttore, anzi, pilota-costruttore alla Brabham. Si è parlato di disegni già in suo possesso e perfino di proposte fatte all'Ingegner Forghieri, il quale, da gran signore e pieno di gratitudine per Ferrari, non è mai entrato in argomento. Per Surtees, se così fosse stato, sarebbe stata una impresa favolosa, tanto più grande di quel piccolo team di F1 che poi è riuscito ad allestire.

Anche un grande campione può conoscere travagli complessi. Ma, avendolo conosciuto come persona leale, aperta e confidente, ho sempre respinto certe versioni. E da allora la sua parabola di grande uomo di sport veniva minata. Ora che se n'é andato, dopo anni di silenzio dignitoso, vorrei che fosse ricordato solo come il Figlio del vento, trionfatore delle competizioni più impossibili, con il suo pallore e il grande fuoco dentro.

Credo proprio che, in quel momento e con quei mezzi, come pilota-costruttore avrebbe compiuto imprese eccelse, in termini più concreti e meritevoli, tali da entrare a grandi lettere nella storia degli sport motoristici.

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