Se il dio diventa improvvisamente uomo nel giorno in cui la storia dei Mondiali scrive una pagina nuova. Ci sarà un'africana in semifinale, non Cristiano Ronaldo. E le sue lacrime immortalate dalla regia internazionale mentre cammina mestamente verso gli spogliatoi, il contraltare dei giocatori marocchini che si inginocchiano verso i propri tifosi e poi fanno festa, sono l'immagine della fine di un'era. A 37 anni CR7 non era più il factotum, l'indiscutibile, semplicemente era uno come gli altri. E come i compagni di squadra che faticavano a sopportarlo, saluta la rassegna iridata. Il suo quinto mondiale, l'ultimo, che forse è anche l'ultima esibizione ad alto livello dell'asso di Funchal, si conclude prima del rivale Messi tra i record (gol in 5 edizioni di fila e 196 presenze con la nazionale), la rottura con lo United, la rete negatagli dal chip nel pallone, l'onta della sostituzione e poi la doppia panchina. Fino a quel tiro deviato dal portiere Bounou nel recupero. Il segno della resa di un Portogallo tradito dalle sue stelle e non solo dal Ronaldo messo da parte. «Hanno ucciso una nazione, fuori Santos», così la sorella di CR7 sul ct.
La festa è tutta del Marocco, ormai più che una semplice rivelazione, che è riuscito lì dove in passato fallirono Camerun, Senegal e Ghana. Cadono le grandi, resta la squadra di Regragui. Un ct chiamato in corsa e capace in pochi mesi di assemblare un gruppo composto da giocatori di 22 club diversi e cinque Millennial, ripescando anche elementi di livello ed esperienza (vedi Ziyech e Mazraoui). Belgio, Spagna e ora anche il Portogallo, gli africani mietono vittime del nostro continente a ripetizione con la forza della difesa - un solo gol incassato che per altro è un'autorete di Aguerd - e del portiere migliore dell'ultima Liga (altri miracoli ieri dopo aver stregato ai rigori le Furie Rosse), la sapiente regia del «fiorentino» Amrabat e in generale la solidità di una truppa che non ha risparmiato una stilla di energia.
L'abbraccio di Regragui a moglie e figlie è il gesto umano di un ct che sta ricevendo a sua volta l'abbraccio di un popolo intero. Quindicimila i marocchini che vivono in Qatar e che stanno affollando gli stadi qatarioti, ieri per la verità solo a partita ampiamente iniziata perché in tanti volevano assistere alla partita della storia all'Al Thumama di Doha senza biglietto. In campo entra la mamma di Boufal scortata affettuosamente dal figlio e mentre i calciatori saltano commossi e sorridenti, spunta una bandiera, metà qatarina e metà del Marocco. La cui nazionale unisce due mondi, quello africano e quello arabo nel primo Mondiale negli stadi affacciati sul Golfo Persico.
Il passaggio del turno contro il Portogallo è meritato per atteggiamento, piano tattico, impegno e anche qualità. L'eroe diventa il centravanti del Siviglia En-Nesyri che sfrutta la maldestra uscita di Diogo Costa e fa il bis mondiale del gol segnato alla Spagna 4 anni fa. E neppure il rosso, ingenuo, rimediato dal «barese» Cheddira - che ora sogna di eguagliare Sergio Bertoni, calciatore che nel 1938 arrivò sul tetto del mondo partendo da una squadra di seconda serie italiana - riesce a rovinare la festa.
Gli avversari, invece, fatta eccezione per una traversa quasi casuale di Bruno Fernandes, non si accende mai. Nemmeno quando dopo sei minuti della ripresa entra Cristiano Ronaldo, che vorrebbe spaccare il mondo ma non ha più la forza di farlo. Ma ieri forse sarebbe stato ingiusto cambiare la storia...
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