Come uomo Paulo Fonseca meriterebbe un contratto a vita. Schietto, trasparente, per niente rancoroso in giorni complicati per il suo futuro. Come tecnico è davanti al più rischioso bivio, sistemato dagli eventi tra la batosta pesante col Liverpool e il derby di stasera, appesantito dalle sei sconfitte consecutive della precedente gestione (Pioli). «So che è un momento frustante ma io resto fiducioso» continua a ripetere senza più avere la faccia triste ma tirando fuori espressioni sincere («io non dico bugie») e risposte appuntite come lame («non mi arrivano le voci da fuori») che tagliano a fette la tensione di questa vigilia del derby diventata la sua personale salita del Golgota. «La mia fiducia non è di facciata, avrei voluto farvi assistere agli allenamenti di questi giorni per comprendere meglio la mia fiducia» è la spiegazione forse più efficace ma che deve fare i conti con la realtà. E molto dipenderà dai giocatori, soprattutto da quel Leao finora fermo al gol nella notte dell'ammutinamento a Roma nel cooling break.
È come se ci fossero due Fonseca in uno: quello che parla e spiega il suo calcio allo spogliatoio senza riuscire forse a entrare nella testa del gruppo, e quello che poi assiste alle partite dei suoi dei quali riconosce con estrema franchezza qualità e difetti. «Ho ricevuto dalla società una squadra fortissima. Siamo diventati una squadra fortissima? La risposta è ancora no»: più brutale di così non si può. Come fa in altri passaggi prendendo spunto dalla sfida di Champions. «Avete visto Salah? Non ha toccato tanti palloni, il primo è finito contro la traversa» ripete quasi per far intendere la differenza tra la stella dei Reds e quelli di casa sua, devono incidere di più. Ma la frase simbolo è quella successiva quando scava la differenza tra Milan e Liverpool. «Avete visto come hanno reagito gli inglesi quando hanno subito il gol dopo appena 3 minuti? Non hanno cambiato una virgola del loro atteggiamento e del loro gioco. Così dovremmo fare anche noi. Perché c'è modo e modo di vivere le varie fasi della partita», la sua analisi, lucida verrebbe da aggiungere perché fotografa una sorta di crollo emotivo così da consegnarsi al loro raddoppio. A proposito della famosa frase di Ibra, Fonseca fa sapere di sentirsi leone anche lui ma non è questo il punto centrale che rimane l'idea di calcio.
«Se ho la palla posso avere più possibilità di vincere» ripete e probabilmente nella testa gli frulla l'idea di correggere lo schieramento in un 4-4-2 con doppio centravanti Morata-Abraham, sacrificando Loftus-Cheek e riportando forse Gabbia in difesa al fianco di Pavlovic. Sembra una tattica super-coraggiosa per una sfida da dentro o fuori riferita alla sua panchina e al suo incarico fresco di qualche mese appena.
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