"Il mio super Nicolò, ma non avevamo neppure una piscina dove allenarci..."

Il coach di Tete: "Ricompensati i tanti sacrifici"

"Il mio super Nicolò, ma non avevamo neppure una piscina dove allenarci..."
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Chi trova un allenatore, trova un tesORO. Nella strada verso il titolo olimpico dei 100 rana, Nicolò Martinenghi ha avuto la fortuna di imbattersi in Marco Pedoja, che è stato fondamentale nella sua crescita e dispensatore di preziosi consigli fino a pochi istanti prima della gara. «Mi ha corretto la posizione della testa di un cm, un accorgimento che mi ha fatto vincere. Non ho fatto la gara perfetta, ma ho fatto la gara della vita», spiega Tete con ancora fresche negli occhi le emozioni del suo trionfo. Il trionfo di Martinenghi è una luce di speranza per un ambiente, quello natatorio, che deve fare però i conti con i costi di gestione troppo alti delle piscine, alcune di queste a rischio chiusura. Pensate: anche il campione olimpico deve fare i salti mortali per trovare un posto dove allenarsi. «Sì, succede tuttora», conferma Pedoja, il 38enne tecnico varesino.

Marco, chissà che grazie a questo trionfo magari non si smuova qualcosa.

«C'è un progetto privato per una vasca da 50 metri a Varese che sarà pronto nel 2027. Siamo stati tutto l'anno a Busto Arsizio, ma dall'Olimpiade di Tokyo in avanti ci sono stati una marea di problemi con la gestione della piscina. L'acqua era fredda e sporca. Ero io a cambiare le piastrelle sul piano vasca e incollarle. Il 15 maggio siamo andati via da lì e siamo stati in giro fino ad adesso. Speriamo nel rilancio della piscina».

La piccola Italia, in confronto a potenze come Usa e Australia, deve fare miracoli.

«Sì, per fortuna possiamo fare allenamenti a Livigno, che è una casa per noi. Ci troviamo bene. Siamo scesi dall'altura 9-10 giorni prima dei Giochi».

È vero che ha dato l'input decisivo a Nicolò prima della finale?

«Sì. Lui stava facendo un errore di attacco alla bracciata, abbassando la testa leggermente prima del dovuto. Gli ho fatto vedere il video dell'oro mondiale vinto a Budapest».

Solo questo?

«No, gli ho anche detto: Sei il più forte, oggi non ce n'è per nessuno».

Quando l'ha capito che ce l'avrebbe fatta?

«Al Settecolli a giugno. Ho capito che Peaty, l'inglese arrivato secondo, non avrebbe potuto reggere i tre turni di gara. L'americano Fink, invece, era di fianco di corsia e su di lui abbiamo fatto la gara. Nicolò lo aveva già battuto nel 2022».

Che persona è Nicolò?

«Semplice. È il campione della porta accanto. Lui è un leader. Positivo. Quando ha le giornate negative le scarica su chi è più vicino a lui, su di me in questo caso. Dopo la semifinale era demoralizzato e non era convinto. Bisognava accenderlo nel momento giusto».

Ha dei difetti?

«Si dimentica le cose e non sa organizzarsi. Sono i suoi due limiti più grandi».

Ci racconti l'incontro con Nicolò.

«Era il 2009, aveva 9-10 anni. Si avvicina questo bambino biondino alla piscina Mecenate di Milano che mi diceva: Sono campione regionale. Lì per lì pensai: E quindi? cosa vuole da me?. Voleva parlare. E così me lo sono ritrovato in piscina».

Nicolò ha detto che la rana ha scelto lui e non viceversa.

«Lui ha i piedi a papera, mani grandi, braccia lunghe, ginocchia verso l'esterno, il collo del piede che non si allunga. Era predisposto per questo stile, l'unico che avrebbe potuto fare».

Dopo questo successo Nicolò sarà cercato da molti.

«Magari andrà al Grande Fratello, chi lo sa. Di sicuro staccheremo la spina per 4 mesi dopo l'Olimpiade. Dopo un triennio pieno di gare, siamo stanchi. Ma c'è ancora una gara da portare a casa, la staffetta mista».

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