Qualcuno doveva pur rimanere con il cerino acceso in mano. Nella corsa Champions, ci ha rimesso le penne il Napoli che pure sulla carta aveva il compito più agevole. Settanta minuti di timori ed errori, Gattuso ha perso la sua squadra proprio sul più bello contro il Verona che ha giocato la partita della vita, a dispetto del disastroso rendimento degli ultimi sessanta giorni. Troppo lenti gli azzurri, deboli più nella testa che nelle gambe, mai convinti, mai cattivi.
Un primo tempo di rara bruttezza ha fatto comprendere subito quanto sarebbe stata difficile la serata azzurra. Forse l'eccessiva tensione, forse la sorpresa nel trovarsi di fronte un avversario mai così agguerrito negli ultimi due mesi, sta di fatto che il Napoli ha subìto il Verona nel palleggio e nell'organizzazione del gioco. Veneti spensierati, veloci nella distribuzione del fraseggio, avrebbero potuto fare di più se avessero ricevuto dal proprio reparto offensivo un contributo più consistente. Tutte marcature a uomo, come nella tradizione di Juric, che hanno soffocato ogni tentativo dei partenopei di far partire la manovra dalle retrovie: Ilic ha tolto il respiro a Fabian Ruiz, Zielinski non ha mai trovato spazio tra le linee, i lanci lunghi in direzione di Osimhen non sono coincisi con i movimenti dell'attaccante nigeriano. L'imprecisione di Insigne, sua l'unica azione-gol del primo tempo, non ha garantito alcun effetto sorpresa e nemmeno ha potuto più di tanto Lozano, mai incisivo e stranamente preferito ancora una volta a Politano.
Anche nella ripresa il Napoli ha commesso una serie infinita di errori, la sua colpa principale è stata quella di non aver mai saputo alzare il volume della partita: sotto ritmo, dando quasi l'impressione di non voler vincere, sintomo evidente del braccino corto che dall'inizio alla fine è stato fedele compagno. C'è voluta la zampata di un difensore, il grande ex della serata, a svegliare parzialmente i suoi: Rrahmani, che nell'ultimo mese ha raccolto alla grande l'eredità dell'infortunato Koulibaly, su corner ha trovato il tocco giusto.
Nemmeno il vantaggio è servito a scacciare la paura, in uno dei suoi classici errori Hysaj ha lasciato incredibilmente tempo e spazio a Faraoni per entrare in area e battere Meret. Con cinque attaccanti in campo non c'è stato forcing finale ma solo il tempo per completare il suicidio perfetto.
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