Cinque anni dopo, Manuel Bortuzzo ha già vinto la medaglia del coraggio. Il nuotatore triestino, che la notte tra il 2 e 3 febbraio del 2019 venne ferito alla schiena da un proiettile, vittima di uno scambio di persona, finendo sulla sedia a rotelle, è tornato da un anno in piscina con l'obiettivo Paralimpiade di Parigi. «Chi mi ha fatto del male ha avuto 14 anni di prigione - ricorda -, ma questo non mi restituirà le gambe. Sono 5 anni che mi confronto con una realtà diversa, anche se il mio sogno è tornare a camminare».
Manuel, come vive oggi?
«So che quanto è successo non posso cambiarlo, che devo avere la testa di creare un'opportunità da una disgrazia e trovare un posto nel mondo. Ho cercato di farmi conoscere e so che paradossalmente può sembrare che nella sfortuna abbia avuto fortuna. Ma nessuno vorrebbe mai diventare famoso in questo modo...».
Cosa farà il 2 febbraio?
«In questi anni, in questo giorno, sono andato in viaggio in Spagna o in Inghilterra. Ho cercato di divertirmi per vivere un'esperienza diversa e in contrasto con il giorno più brutto dell'anno».
Si sente un sopravvissuto?
«Sì. Sono arrivato ad appena 12 millimetri dalla morte. Se mi avessero colpito più in basso, avrebbero preso l'arteria addominale e in ospedale non ci sarei arrivato: sarei morto nel giro di 90 secondi».
Lesione del midollo spinale. È vero che è stato più lei a confortare i famigliari che viceversa?
«È stato automatico trovare una soluzione e dare conforto alle persone vicine a me. Ho cercato di non farmi vedere distrutto dai miei famigliari».
Chi ha avuto un ruolo fondamentale in questi anni?
«Mio papà Franco. Quando non avevo la testa per pensare a certe cose, ci ha pensato lui. Col tempo ho preso io in mano la situazione e riesco a portare tutto davanti da solo. Senza lui, però, non avrei costruito tutto quello che ho fatto. Sono grato di averlo nella mia vita».
Il nuoto quanto è stato importante per ritrovarsi?
«Mi tiene vivo, mi rendo conto che se non nuoto un giorno poi non sto bene. Quando rientro in acqua mi sento meglio, anche se poi esco devastato. È proprio una cura contro il problema che ho».
Cos'ha imparato in questi primi mesi nel nuoto paralimpico?
«Che il livello dei ragazzi italiani è altissimo. Il capitano Efrem Morelli mi dà consigli. Ho fatto amicizia con il greco Tsapatakis, campione del mondo. Lui è un ex poliziotto, ha 35 anni e nel 2006 ha avuto un incidente in moto. È un'ispirazione».
Anche lei è un'ispirazione per molti: perché non si è rassegnato.
«Sì. Di recente una persona mi ha scritto su Instagram: Scusa se ti disturbo, volevo dirti che Dio ti benedica per l'immensa forza d'animo che hai, sei un grandissimo esempio per i giovani di questi tempi e per tutti noi. È una condizione che vivo tutti i giorni. A me fa solo piacere».
Cos'altro le scrivono i suoi follower?
«Si sentono rappresentati quando vivono un momento difficile. La cosa più bella è non farli sentire da soli nel loro dolore. Prendono la mia storia per non arrendersi, per rimettersi in gioco. Dicono che grazie a me si sono riavvicinati allo sport, alla musica o a qualsiasi attività che gli ha permesso di avere risultati. Non ho cambiato 100.000 vite, ma alcune forse sì».
Si sente speciale?
«Non devo interpretare nessuna parte, non devo calare nessuna maschera, ma essere me stesso. Percepisco questa responsabilità, ma la vivo molto bene anche se c'è tanta attenzione su di me».
Parliamo di Parigi. Cosa rappresenterebbe la Paralimpiade per lei?
«Il percorso è lungo, gli allenamenti sono intensi. Questo è il momento più faticoso, ma ho la fortuna di allenarmi con un grande amico come Francesco (Bonanni, il coach che lo segue a Roma alle Fiamme Oro, ndr). Stare con una persona come lui rende la fatica un piacere».
A breve uscirà un altro libro.
«Dopo l'incidente di 5 anni fa vedo tutto con occhi diversi. Voglio raccontare quello che non si sa sulla mia vita».
Di nuovo c'è che ha affrontato il suo primo Mondiale, 5° posto.
«Non è andata come volevo a Manchester, ma è stata un'esperienza positiva. Era la mia prima volta in una Nazionale fortissima. Non si può sempre vincere».
Ma nel 2024 bisognerà vincere
«Sì, ci proverò in Coppa del Mondo a Lignano e poi a Berlino, prima dell'Europeo che si terrà ad aprile a Madeira».
Suona ancora il pianoforte?
«Sì, dopo l'incidente ho riscoperto il pianoforte. Studio musica classica con un maestro. Mi sono tatuato il Notturno Numero 20 di Chopin: è raffigurato uno spartito con un occhio da cui scende una lacrima. Mi arricchisce molto la musica e non lo faccio in maniera superficiale. Quando faccio una cosa, ci metto tutto me stesso. Ho ripreso anche a guidare la macchina».
Vi sentite con Paltrinieri, col quale si allenava fino all'incidente?
«Dove mi alleno c'è la fidanzata Rossella Fiamingo. Non vedo l'ora di vederlo e andare a cena. Ho molto da raccontargli».
Gli chiederà come si realizza un sogno olimpico?
«Proverò a ottenere il tempo limite nei 100 rana per Parigi. È un crono che ho già nuotato, ma non lo dico per scaramanzia».
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