Due Papi? Qui ce ne sono quattro. Qui nella nostra immaginazione, ed anche nei nostri ricordi. Una volta era Maradona, oggi è Messi. Una volta era Matthäus, oggi è Müller. Papi alla tedesca (calcistica) e Papi all'Argentina e qui siam più vicini alla caratteriale santità.
Forse non è un caso che tutti ci riconducano ad una Emme iniziale che non sta per schema di gioco, piuttosto per punto M del calcio che vuol dire goduria e piacere, bellezza e aspettativa. Veni (nel senso latino) vidi vici, ce lo hanno detto quei due che se la giocarono a Italia '90, con Lothar che faceva Lothar, muscoli in vista, tumultuoso capitano della Panzer division e Diego icona e simbolo schiumante rabbia da stampare in faccia a tutti durante l'inno violato dai fischi. Eppoi quel finale con rigore dubbio, «La mano nera della Fifa», disse lui che, invece, quattro anni prima aveva usato la mano sua, ma quella era la mano de Dios.
Oggi Maradona si chiama Messi, specie diversa di uomo, sempre calcio per guerre stellari. Comunque football improntato alla raffinata qualità tecnica, poi Diego giocava anche da solo, marcava il campo, il territorio, riempiva l'aria di sè. Lionel resta topolino, entra ed esce dalla partita, passa sotto le gambe e quasi mai sopra le teste, in questo mondiale si è messo a giocare per la squadra eppoi per i suoi gol. Diego era squadra, Lionel sta con la squadra e per ora ha funzionato. Meglio il Maradona messicano che quello italiano. Messi non può concedersi il lusso di attendere: Diego vinse il mondiale a 26 anni e aveva sempre la Germania davanti, oggi Lionel ne ha 27.
Sono calcio argentino di epoche diverse e marcano la diversità, mentre Matthaus e Muller marcano solo la differenza di ruolo. Tedeschi effervescenti a differenza di armadioni e carriarmati schiacciasassi come vorrebbe luogo comune. Lothar trascinava, stando in mezzo al campo e aprendo il gas per cambiare passo alla squadra. Thomas corre e va, segna e fa assist, pizzica e morde avanti e indietro per il campo. Fantastici atleti che non ti mollano mai. Eppur con la differenza sostanziale che Lothar era signore e padrone a 29 anni. Gli anni di Thomas, invece, sono solo 24 e una storia calcistica ancora da vivere intensamente. E pericolosamente. Ma in questa attività Matthaus era maestro insuperabile.
Il piacere del pallone si esplica pure così, ti riporta a protagonisti vecchi e nuovi e li infiocchetta con quella iniziale come fosse, è stata e forse sarà, il segno del potere. M il segno del potere. Già, ed allora come non pensare a Mascherano, che per gli argentini è un salvacondotto verso qualunque traguardo. Maradona lo ha promosso e premiato con una carezza. «Ha giocato con grande autorevolezza e grinta, un esempio sul campo». E lui, il pelato dagli occhi di tigre, ha ricordato a tutti che «questa sarà la partita della vita» a dimostrazione che non è solo una questione di iniziale avere nel Dna il segno del potere.
Poi c'è potere e potere e i tedeschi potrebbero dire M come Merkel, signora che ti mette sull'attenti a prescindere dalla conformazione fisica. Non è proprio l'ideale contrapposizione a Mascherano: quello gioca, lei se la gioca solo in politica. Qui al massimo tifa e non è detto porti bene. La signora arriverà per il finalone con gran sprezzo del pericolo: che ne sarebbe se la panzer division perdesse proprio la partita che vale un titolo che fa egemonia? E nel calcio potrebbe fare economia di crescita.
Ma c'è modo di vincere e modo di morire sul campo. C'è modo di intendere soprattutto il pallone. Gli argentini ti metteranno sempre davanti la M di Maravilla, che si dica Messi oppure Maradona.
I tedeschi ogni quattro parole ti parlano di Mannschaft che vuol dire squadra.Ci siamo, eccoci arrivati alla matrice di tutte le credenze pallonare: Squadra contro Meraviglia, come il calcio raccontato da Germania-Argentina. E da spiegare nel Maracanà, ovvero M come simbolo di un calcio che fu.
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