Paris, il pazzo poker del re di Kitzbühel

Dominik nel mito. Per la quarta volta (3 libere, un SuperG) ha dominato la terribile Streif

Paris, il pazzo poker del re di Kitzbühel

Kitzbühel Il poker è servito signori, è un poker d'Asso che porta il nome di Dominik Paris, un gigante che non smette di ridere e di beccarsi pacche sulle spalle mentre la folla lo osanna. Ha vinto lui, ha vinto ancora sulla pista che trasforma lo sci in leggenda, lo aveva già fatto tre volte, discesa nel 2013 e 2017, superG nel 2015. Gli anni dispari lo ispirano sulla Streif, ma ad ispirarlo sono state soprattutto le condizioni limite che quest'anno hanno fatto dire no grazie ad Aksel Lund Svindal, il norvegese che sulla Streif non ha mai vinto, ma lo stesso ha preferito passare la mano, per concentrarsi sui Mondiali e risparmiare le sue ginocchia malconce. La discesa al venerdì, un evento nell'evento, ha radunato decine di migliaia di spettatori, ospiti d'eccezione, stelle dello spettacolo e dello sport, grandi ex schierati ad onorare i migliori discesisti del pianeta. Tutti eroi, dal primo all'ultimo, sì, da Paris al boliviano che si è beccato 11 secondi, perché signori, avete idea di cosa significhi scendere in picchiata su quel ghiaccio lucido e poco uniforme che da cima a fondo fa sbattere gli sci, i denti e non solo su pendenze da brivido? Ieri Max Franz, due vittorie all'attivo in questo inizio stagione, si è rotto un calcagno senza cadere.

Ma cos'ha la Streif di diverso dalle altre grandi discese? Ha la faccia degli atleti prima del via, sguardo fisso nel vuoto, concentrazione massima, guai a pensare a quello che devi affrontare, devi andare e basta, sperando in bene. Ha anche la faccia degli stessi atleti che dopo un minuto e quaranta di inenarrabile fatica fisica e mentale tagliano finalmente il traguardo, bene o male non conta, quasi tutti esultano, anche quest'anno è andata, fiuu, «ma questo non è sciare, questo è lottare, sono i due minuti più adrenalinici della stagione» dirà un francese più che felice del suo piazzamento fra i top venti. «Ho rischiato anch'io e mi è andata bene» dirà invece Dominik, il più forte ieri come già a Bormio a fine dicembre, il migliore quando le condizioni sono così difficili e per andare forte servono pelo, tecnica, forza, decisione e sì, anche i materiali giusti, che lui finalmente è riuscito a mettere a punto dopo una stagione, la scorsa, che lo aveva fatto tribolare non poco. «Non riesco a trovare le parole per esprimere quello che provo, mi sento forte sì, ma la mia discesa non è stata perfetta come lo fu ad esempio nel 2013 (prima vittoria qui, ndr), è bastata però a fare la differenza. Ho vinto nel tratto finale portando fuori bene la velocità dalla traversa, Feuz l'ho battuto lì, è un osso duro lui quest'anno, è sempre lì, sempre sul podio, spero di recuperare altri punti a Garmisch, ma non voglio guardare troppo avanti, oggi mi godo questa, dopo aver festeggiato un po' penserò al superG di domenica e poi al resto. I Mondiali? Vedremo, se continuo a stare così bene posso puntare in alto, ma ogni gara ha la sua storia».

Sono le tre del pomeriggio, Dominik è in giro da oltre sette ore. Allo stress della gara si è aggiunto quello del dopo gara, un piacere, certo, ma anche una fatica supplementare. «Ho fame, avete finito con le domande? No, non dedico la vittoria a nessuno. No, con i soldi guadagnati non compro nulla, testa bassa e lavorare, questo è il mio regalo. E no, la nascita di mio figlio non mi ha cambiato. C'è altro?» A Paris frega ben poco il dopo, a lui interessa il durante, gode mentre scende, gode quando taglia il traguardo e vede luce verde: «Ho esultato perché sapevo che quasi tutti i migliori erano già scesi e che il podio era possibile».

Podio sfumato invece per Christof Innerhofer, quarto, beffato dall'austriaco Otmar Striedinger partito con il numero 27 e un raggio di sole a illuminare la sua discesa. Onore anche a Matteo Marsaglia, decimo con pettorale 47 e pista ormai buia.

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