nostro inviato a Rio de Janeiro
È stato ricevuto alla Casa Bianca, ha parlato con il presidente degli Stati Uniti, gli ha stretto la mano, scambiato parole, complimenti reciproci fra chi era appena stato rieletto e chi appena incoronato doppio olimpionico, oro e argento. Poi ha scritto un libro, poi la laurea in ingegneria non gli bastava ed è andato negli States a prendersi un Master in biomeccanica. Ha girato il mondo, nel 2015 ha lavorato per un anno intero alla Ferrari, progettando slittini, scafi di canoe, bob a quattro, archi e quant'altro per le nostre nazionali azzurre. Niccolò Campriani, oro e argento a Londra 2012, carabina 50 metri 3 posizioni e 10 metri, è un sunto di questa bella Italia non solo sportiva che sa vincere nello sport e anche nella vita. Dovrebbe essere un esempio da raccontare, invece ogni volta lo dimenticano per 4 anni.
Niccolò, come va di moda dire oggi, hai fatto tanta roba. E adesso il titolo olimpico da difendere.
«Se guardiamo il ranking sì. Ma è meglio non guardarlo, non so neppure dove io sia finito. Quando arrivai a Londra ero primo in due specialità. Ora zero».
Cosa è successo? Non ci allarmare.
«No, no. Intanto sto tirando molto bene. In qualifica direi meglio che alla vigilia dei Giochi 2012. Dei vincitori di Londra nel tiro, sono l'unico ad essersi qualificato per Rio. E sei finalisti del 2012 qui non ci sono. Il problema, però, adesso, è concretizzare la gara della finale. Dopo Londra la Federazione internazionale ha infatti rivoluzionato questo sport. Per farla semplice, prima arrivavi in finale con il vantaggio dei tiri e punti conquistati in qualifica. Se eri messo bene, sapevi già che ti saresti giocato le medaglie. Adesso in finale si riparte da zero. Ed è a eliminazione».
Un bel casino.
«No. Il casino vero è attorno. Ora quando il pubblico entra gli dicono prego, adesso fate confusione, urlate, deve essere una festa. E poi c'è musica ad altissimo volume».
Prima sembravate una chiesa, adesso siete un luna park?
«Dobbiamo sparare nella confusione. Questioni di show. Per me è stato un problema enorme. Prima non lasciavo partire il colpo fino a che non mi sentivo strasicuro e sempre tenendo ben sotto controllo la frequenza cardiaca».
Perché voi ascoltate il cuore e per evitare imperfezioni di mira sparate tra un battito e l'altro.
«Sì, solo che adesso in finale si deve sparare senza potersi ascoltare. Addirittura è il giudice che ti dice quando devi lasciar partire il colpo. E se in quel momento ho la frequenza a mille, sono fregato. Basta un battito sbagliato per non andare a bersaglio».
E quindi lunedì in gara...
«Intanto succede che ho cambiato il sistema di allenamento e l'approccio alla finale».
Cioè ti alleni come fossi in un outlet nel giorno di saldi.
«In un certo senso. Mi metto a fare su e giù dalle scale e solo dopo vado a sparare. Così la frequenza cardiaca è sballata e il mio tiro sarà condizionato dai battiti. Oppure io e Petra (Zublasing, la fidanzata campionessa del mondo nella carabina 10m in gara oggi) scarichiamo da youtube le urla, gli applausi, il tifo del pubblico durante le gare di coppa del mondo e le amplifichiamo mentre spariamo in allenamento. E poi tanta musica al massimo del volume o nelle cuffiette. Qui la medaglia andrà al tiratore istintivo, non al preciso. Non conterà tirare bene, ma solo fare 10».
Chi è il favorito?
«Fra gli uomini il mio amico Emmonds. Ha un conto in sospeso con le olimpiadi (nel 2004 perse l'oro centrando il bersaglio di un avversario, a Pechino gli partì un colpo per sbaglio, a Londra era al rientro dopo una malattia, ndr). Ed è un grandissimo, si è preparato e adattato meravigliosamente a questo nuovo sistema».
E fra le donne?
«La mia compagna: Petra Zublasing. Tira cattivo, d'istinto, vedrete oggi».
Beh, allora sei a posto.
«In effetti ci aiutiamo a vicenda: io la seguo nella fase di qualifica, quando serve un approccio diverso alla gara ed è quello più consono a me. E lei mi assiste nell'allenamento da qualifica, quando servono istinto e incoscienza».
Tu così preciso, tu ingegnere attendo al dettaglio. Come fai a diventare incosciente?
«In un certo senso sono andato a lezione».
Non ci credo.
«La vita non è aspettare che la tempesta finisca, ma saperci ballare in mezzo. Per cui reinventarmi è stata una nuova sfida. Così io e Petra abbiamo girato il mondo, siamo andati ad allenarci in Giappone, in Cina, in Norvegia, Islanda, ovunque ci fosse da imparare. Perché se in qualifica non avevo nulla da apprendere, in finale sì... Cercavo l'incoscienza che non mi appartiene e l'ho trovata nel confronto in questi nuovi allenamenti».
Per cui, via, si scende in campo per difendere il titolo olimpico.
«No. Per provare a conquistarne uno totalmente diverso».
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