Voce di spogliatoio juventino raccontava che Antonio Conte era l'allenatore che ti dava 10 punti in più in classifica. Stavolta gliene sono bastati 20, di punti, perché i suoi colleghi italiani lo eleggessero allenatore dell'anno con tanto di panchina d'oro per il successo con l'Inter nella scorsa stagione. E Stefano Pioli si è seduto sul sediolo d'oro del secondo arrivato. Ogni tanto il destino fa i conti giusti e non sbaglia nemmeno le date. Quale momento migliore per incoronare ed omaggiare l'allenatore del vinco lo scudetto e scappo? Conte Antonio è il miglior interprete della sua celebrazione: ha ricevuto il premio nella sede del Tottenham e a nessuno sarà sfuggito che questa è la sua quarta panca d'oro.
Domenica si affronteranno Juve ed Inter, squadre del suo cuore, dei successi, di un imprimatur indelebile ed, anche, di un portafoglio ben fornito. Si giocheranno lo spicciolo di campionato che potrebbe annientarle nelle retrovie o rilanciarne una. Magari a Torino e Milano, nonostante il Conte traditore del saluto juventino e il Conte fuggitivo della toccata e fuga milanese, ne avranno rimpianti, i cuori batteranno ancora, le inconsolabili vedove (calcistiche) non mancano mai. Conte è uomo antico ma cantore moderno del mondo pallonaro e, dunque, ha lasciato buoni ricordi e sostanziosi regali (leggi trofei). Quindi si merita il premio e l'elogio. Ha letteralmente raccolto Juve ed Inter impacchettate nella nuvola dei sogni amari e dei ricordi lontani e le ha rilanciate cucendo, anzi ricucendo dopo anni, scudetti al petto. Il merito va diviso con calciatori che gli hanno dato tutto, anche lo spirito di sopportazione, però quella Juve, che sortiva dai maldestri destini di Calciopoli, e questa Inter, a digiuno scudetto per ben 11 anni, sono state regno e panchina di chiodi prima di diventare d'oro. Vinse il primo titolo a Torino con 84 punti, a Milano con 91: di bene in meglio.
Con la Juve il nostro imparò a non restare prigioniero dei dogmi, neppure dei suoi, e tanto gli bastò per trovare la miglior soluzione nell'impiego di Pirlo che poi diventò il maestro. A Milano l'assestamento anche caratteriale ha subito scossoni: Conte era visto come un figlio bianconero e non come un allenatore da Inter. Ci sono stati musi e mugugni prima di assestarsi in linea di volo nel secondo anno di comando. Poi metteteci una miglior valutazione dei giocatori e il votarsi ad un gioco realistico: l'importante è vincere.
Stesso dogma della Juve di Allegri e filosofia che sarebbe servita all'Inter di Inzaghi. Oggi si battono loro, Conte domenica sarà un fantasma della tribuna: forse rimpianto. E magari sogghignante si dirà: dove eravamo rimasti?
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