E se provassimo a fonderle?
Paura. Anni Cinquanta, il Torino ha smesso di vincere campionati in serie, la Juventus sempre dietro, nel '49/50 spezza improvvisamente l'egemonia granata, fa 62 punti e segna cento gol, ma il Milan ne fa 118 e l'Inter 99, Milano sta tornando e l'avvocato Agnelli è preoccupato. Nel '52 i bianconeri rivincono lo scudetto davanti alle milanesi e lo fanno alla grande, John Hansen ne segna trenta, il Milan finisce a sette punti, l'Inter addirittura a undici, ma è l'ultimo acuto, l'Inter è campione d'Italia nel '53 e nel '54, nel '55 vince il Milan, l'asse rossonerazzurro è interrotto dalla Fiorentina, poi ancora il Milan, la Juventus arriva settima, due volte addirittura nona, il Toro peggio. Cosa succede?
Ora, non è mai stata accertata la motivazione ufficiale che spinge l'avvocato a lanciare l'idea e rimangono in piedi diverse motivazioni. Si vocifera che sia rimasto profondamente scosso dalla tragedia di Superga e senta il bisogno di tendere una mano. Probabile che avverta la convivenza con il Torino come un fastidio. Ma per il resto la Fiat non è in crisi, il cinquino va che è una meraviglia, Torino poi è un polo culturale che fa tendenza oltre a rappresentare la laboriosità suprema, simbolo industriale, ma sta dietro Milano che esprime calcisticamente il Paese all'estero. L'avvocato sogna la Coppa dei Campioni e non accetta l'immagine che la Juventus proietta nel mondo, molto meglio sarebbe avere una sola squadra capace di battersi alla pari davanti a Milan e Inter e fronteggiare i top club europei. Di certo Milano ha due squadroni e i bianconeri non vedono la fine del tunnel, il Torino poi attraversa una pesante crisi societaria, squadra smarrita, a San Siro perde 7-0 con il Milan, 26 febbraio 1950, neppure un anno da Superga che ha drammaticamente interrotto il ciclo di una squadra irripetibile e il presidente Ferruccio Novo deve ricreare tutto da zero. E i rossoneri del Gre-No-Li, tre settimane prima hanno umiliato la Juve con un 1-7. Incassi all'osso, morale ai minimi storici, e alla metà degli anni Cinquanta Giovanni Agnelli fa la proposta: Torino non può permettersi due squadre, e se si provasse ad unirle?
Una fusione societaria vera e propria, tutto da decidere, con quale nome, chi sarà il presidente, e l'allenatore? Quale il colore delle maglie e su quale campo si gioca? L'avvocato vuole portare un assalto alla mediocrità ma si scatena il finimondo.
L'azzardo gira prima fra sussurri e ansie, quando esce allo scoperto la reazione è immediata. La tifoseria bianconera, allineata e riconoscente, non azzarda rivolte ma si getta nel fuoco. I torinisti invece si mettono sulle barricate. La proposta è indecente, sono due squadre che fanno fatica a dividersi la città, figurarsi. Ma come si permette l'avvocato solo a balenare una simile sconcezza? E la fede? E la bandiera? Noi siamo il Toro!
A raccogliere le migliaia di lettere dei tifosi granata è Vittorio Pozzo, di provata fede. Lo fermano per strada, lo aspettano sotto casa, non lo lasciano vivere. Fortemente risoluto a osteggiare il progetto maledetto, l'ex ct decide di raccogliere tutte le lamentele che gli sono state recapitate e chiede ospitalità alla Stampa di pubblicarle. Siamo nell'estate del '58 e scrive di suo pugno un pezzo leggendario: Una fusione che mancherebbe di rispetto al passato di Juventus e Torino. Davanti a una così autorevole voce tutto improvvisamente tace. È un ritorno al passato, la Juventus ricomincia a vincere il campionato dopo essere nuovamente finita nona nel precedente, John Charles e Omar Sivori segnano cinquanta gol, in porta c'è Carlo Mattrel, ci sono Bruno Nicolè e Gino Stacchini, in mezzo comanda Giampiero Boniperti, Milan e Inter finiscono assieme al nono posto a diciotto punti.
Al Talmone Torino che ha trovato un accordo con la fabbrica di cioccolato Venchi Unica, purtroppo gira all'opposto, è libero ma la stagione successiva retrocede per la prima volta in serie B con la peggior difesa del campionato. Fine delle trasmissioni, si torna alla normalità alla quale siamo tutti, involontariamente, abituati.
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