Il grave problema di Città del Messico non è stata la temperatura o la bassa densità a 2.000 metri di altitudine, ma la libertà dei concorrenti di vertice nel ristabilire le potenze (a mezzo turbo) e le deportanze (più ala posteriore) perdute, con infrazioni nei consumi-benzina, selvaggi in qualifica e ignoti in gara da Monza 2015, con pesanti dubbi. Con il basso carico d'inizio preparazione del gran premio, si era persino assistito a un primato della Ferrari in Soft, contro la British-Mercedes e la Rbr. Poi, fino agli assetti definitivi da gara, è stata una corsa alle maggiori deportanze, che hanno dato le ali alle Rbr e che hanno limitato la Ferrari. Basti pensare che una monoposto in grado di raggiungere deportanze fino a circa 1.800 kg a 300 km/h sulle piste correnti, cioè di poco superiori al livello del mare, esercita la sua forza con una densità dell'aria intorno a 0,125 kg sec^2 m^4; ma a 2.000 metri questa densità scende, a pari temperatura, a circa 0,103 kg sec^2 m^4 e il carico aerodinamico massimo si riduce a poco meno di 1.400 kg, con una perdita di oltre il 20 per cento. Abbastanza per stravolgere il confronto Ferrari-Mercedes e per riaggiustare i divari nei confronti delle Rbr. Oltre alla solita piaga delle Super-Soft.
Positiva per il Cavallino la strategia con la più razionale partenza su gommatura Soft e il suo lungo stint, con unica sosta, prima di arrivare allo scontro finale con Vertsmatten. Alla fine, tuttavia, sono rimasti i favoritismi, le trasgressioni e la cancellazione dell'equità nella competizione.
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