
Se vi trovaste a Sunderland, fate un giro al Fans Museum della squadra di calcio, in Prince Bishops Place. Tra i cimeli troverete un paio di pantaloni, sporchi di erba, il verde del prato del St. James Park di Newcastle. Quel capo d'abito appartiene a Paolo Di Canio, il 14 di aprile del 2013 il Sunderland, sull'orlo della retrocessione, andò a vincere in casa dei ricchi vicini, fu un 3 a 0 leggendario e Di Canio, tecnico dei Black Cats, scivolò lungo la linea di bordo campo, nell'esaltazione del terzo gol, assumendo la postura eroica, urlo e braccia levate al cielo, istantanea iconica. Di Canio è stato il Popeye del football, rissoso, irascibile, carissimo Paolo, amato e odiato come accade con chi non si nasconde nel canneto e mette la faccia ed il cuore, mai dimenticandosi delle origini. Il Quarticciolo è una pagina del suo diario che nessuno potrà cancellare o stracciare. Suo padre Ignazio faceva il muratore, si spaccava la schiena dalle 5 del mattino alle 4 del pomeriggio per portare a casa il necessario, Pierina, la moglie, lo aspettava accudendo Paolo, Antonio, (Bernar)Dino e Giuliano, vita aspra ma genuina nell'Italia del dopo boom e dei primi fermenti studenteschi. Infatti.
«Infatti frequentavo il Duca D'Aosta, istituto tecnico industriale. Un giorno, durante un'assemblea, decisi di svignarmela con alcuni amici. Fecero il contrappello: Di Canio? Nessuna risposta. Di Canio? Assente».
Dunque?
«La direzione spedì una lettera a casa, informarono i miei genitori, ero punito con la sospensione di una settimana. Qualche giorno dopo, rientrando nel tardo pomeriggio, trovai mio padre e il resto della famiglia in piedi, attorno al tavolo da pranzo. Mio padre, con fermezza, mi domandò: che cosa è questa lettera?».
Punizione, a letto senza cena, niente uscite serali?
«No. Mio padre mi disse di stare tranquillo, attese in silenzio altri due giorni, poi, una mattina, all'alba, sentii la sua mano sulla spalla, erano le 5: Alzati! disse, vieni al cantiere con me».
Cazzuola e frattazzo.
«Dovevo preparare le tracce per far passare i fili, un mese con le mani bianche e la testa bassa. Ero magro, faticavo davvero, il polso era gonfio, sentivo dolore ma dovevo stare zitto. Aspettavo le undici e mezza come il paradiso, andavo al forno, compravo le rosette poi la mortadella. Ma il premio vero era la doppia lattina di Fanta. Di quei momenti, di quei panini, di quell'aranciata frizzante, sento ancora l'emozione, il profumo, la luce».
Poi il calcio.
«La Lazio, da tifoso prima e da calciatore dopo. La passione che è la stessa di oggi, continuo a vivere il football come se lo giocassi ancora. Anzi quando mi capita di andare sui campi, come opinionista per Sky, mi domando, quasi stupito: ma quanto sono grandi! Come ho fatto a correre avanti e indietro?».
Un carattere ribelle.
«No, odio l'indisciplina, sono per il rispetto delle regole, è vero, lo ammetto, sono stato un rompicoglioni ma nessuno ha mai potuto dirmi nulla sulla mia osservanza delle norme».
Beh, qualche arbitro, qualche allenatore
«Ho discusso, ho reagito, ho avuto diverbi anche accesi con grandi allenatori ma con loro abbiamo poi stretto una amicizia vera».
Diciamo Fabio Capello?
«Lui è un maestro, il mio riferimento, per la sua cura maniacale dei dettagli. Ho un grande rispetto per Harry Redknapp per come sapeva gestire il gruppo e Delio Rossi che, pochi sanno, ha una visione moderna del calcio, della tattica, dell'applicazione».
Con Trapattoni alla Juventus?
«Piccole cose ma la Juventus per me è stata la scuola formativa unica, il senso del dovere e poi la famiglia Agnelli sempre presente».
Però, nonostante Roberto Baggio, arrivaste settimi.
«Maifredi e Montezemolo volevano un calcio nuovo».
Un po' come oggi.
«Non ci sono più Gianni e Umberto Agnelli».
Torniamo al Regno Unito. La Scozia come primo approdo.
«Il Celtic dei cattolici, una esperienza meravigliosa. Ultimo giorno dell'anno, festa con amici e parenti, a mezzanotte e cinque bussano alla porta della mia casa vicino a Glasgow. Si presentano quattro gentiluomini, accompagnati dalle loro consorti. Parlano in inglese, anzi in scozzese e non capisco una sola parola ma vogliono brindare con noi e ringraziarmi di avere accettato il Celtic anche se uno di loro confessò di essere dei Rangers. Passano due giorni e mi recapitano il kilt, completo, calzettoni alti di lana, i Ghillie Brogues, le scarpe con i lunghi lacci, lo Sgian Dubh, il coltellino cerimoniale nella calza destra e poi lo sporran. Da allora, ad ogni San Silvestro, dovunque mi possa trovare, indosso quell'abito, in onore di quella notte magica».
Il passaggio da Glasgow al calcio inglese fu altrettanto fantastico.
«L'Inghilterra è la mia seconda cuccia. Con Elisabetta, mia moglie, avevamo comprato una casa a Caldwell, vicino al campo di golf. Ludovica e Lucrezia, le nostre figlie, vivono e lavorano in Inghilterra. Ludovica, laurea a Southampton in scienze biomediche, dottorato in neuroscienze a Cambridge, dirigente della Pfizer nel Surrey, quartier generale di Walton Oaks. Lucrezia laureata in Fine art all'università di Bath, master curating al Goldsmith College, direttrice di una galleria d'arte a New Bond Street».
Scommetto che è capace di esaltarsi anche per questo.
«A parte l'orgoglio di padre, durante il Covid riuscivo a infervorarmi sui vaccini e discutevo e spiegavo, come fossi io l'esperto, il virologo, il docente. Come sempre, con lo stesso impeto, per qualunque cosa io affronti».
Il lavoro di opinionista, il football televisivo. Che roba è diventato?
«Un'enfasi incredibile, anche ridicola, sento cronache di stop monumentali, di cambi di gioco spettacolari, di dribbling fenomenali. Tutta roba invece elementare, basilare per un professionista del calcio. Certi commenti mi lasciano perplesso».
Di Canio scende di nuovo in campo, quale maglia sceglie?
«Claret-sky blue e azzurro, i colori del West Ham e della Lazio».
Di nuovo tifoso
«Io sono tifoso del football.
Guardo in tivvù una partita qualunque, di qualunque squadra e campionato e mia moglie, i miei amici, sono stupiti e increduli perché mi agito, strillo, rimprovero un passaggio sbagliato, uno stop incerto. Questo è il mio calcio, questa è la mia passione di vita».Compresa la rosetta con la mortazza e la superFanta.
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