«Pronto!». «Ciao Paolo dove sei?». L'inizio è quello de La telefonata, il podcast con Bertolucci e Panatta che tutti dovrebbero ascoltare per affrontare la giornata col buonumore (dura 5-6 minuti). «Ciao Paolo, insomma: oggi è il giorno», 47 anni dopo. Dice lui: «Anche se non è proprio la stessa cosa, ma va bene così. Avercene». La telefonata, la nostra, avviene prima che la finale cominci. Ma tanto il senso è ormai quello: «Abbiamo vissuto 15 giorni di ubriacatura tennistica, mica ce la potevamo immaginare: tu te lo saresti immaginato?». Ma dai, figuriamoci.
Paolo Bertolucci è uno dei quattro che, fino alle 16 di ieri, potevano dire con certezza di aver vinto una Coppa Davis. Non aveva probabilmente il phisique du role, lo chiamavano «Pasta kid», Adriano continua a chiamarlo «Bombolo» (puntata numero 10 del podcast). Di certo aveva quel braccio d'oro che faceva la differenza, «e tu, Adriano, senza di me dove saresti andato?». Ora si sfidano al microfono in Tv - Paolo a Sky e Panatta in Rai - e ha ragione lui, ci siamo ubriacati di tennis: «Che fossimo tra le due-tre nazioni migliori al mondo lo sapevamo, ma così... Già quel che è accaduto a Torino era imprevisto, poi questa roba qui. Son tutti impazziti: vedi la gente per strada che ti ferma, che ti chiede, che vuole sapere. Il benzinaio che ti spiega perché Arnaldi non doveva fare quella smorzata lì: bellissimo».
Come ai tempi vostri, verrebbe da dire, ma allora c'era la finale col Cile, la politica di mezzo, «e siamo dovuti tornare in incognito dopo aver vinto, lasciamo perdere... E poi sai che c'è? Dentro te la senti meno. Al di là dell'ebbrezza della gioia di squadra, il tennis resta uno sport individuale. Però queste due settimane hanno risvegliato un interesse incredibile, meno male». Perché adesso c'è Sinner. E qui ti viene in mente Bertolucci che un anno fa a Roma diceva che Alcaraz avrebbe dominato il futuro. Potevamo dargli torto? «Guarda, in quel momento lì non c'era davvero partita, ma in questi ultimi tre mesi qualcosa è cambiato: Jannik ha sconvolto il panorama mondiale, poi mettici che Carlos ha avuto dei problemi fisici, ed ecco che quella che prima era una distanza ora si è annullata. Sinner è alla pari di Alcaraz e Medvedev, resta Djokovic che è ancora superiore, però...».
Però in semifinale è andato in tilt: «Quando uno con il suo ego vede svanire tre match point, finisce che va sotto choc: nel doppio sembrava un pugile suonato, in più giocava con uno che il doppio non sapeva neanche cosa fosse». È Davis, di nuovo, «finalmente. Ma questo è più un campionato del mondo, senza dimenticare che manca la Russia. Poi si gioca solo indoor, non ci sono più la terra o l'erba. E basare il 33% della vittoria sul doppio è troppo: è un'altra manifestazione e un'altra storia. Però, detto questo, siamo tutti felici». Per Sinner, soprattutto: «A Torino gli ho parlato: è uno coi piedi per terra, genuino, se riusciamo a non rovinarlo ci farà divertire per molti anni». Alludi? «Alludo: adesso tutti lo esaltano, ma un paio di mesi fa... Ho visto delle inversioni a U meravigliose...».
Vabbè dai, «tanto uno che batte Djokovic 7-5 o 7-6 al terzo set è pronto per l'ultimo passaggio, quello dei tre set su cinque.
E dopo 'ste due settimane...». Già, che ha da dire alla fine Bertolucci? Arriva il messaggio: «È stato tutto fantastico: se hai uno come Jannik può solo finire così. Sono molto felice per questi ragazzi». Era commosso, sembrava.
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