L'Italia alle Olimpiadi senza Fede dopo vent'anni. "Io, bambina ad Atene adesso sono una mamma. È il cerchio della vita"

A una settimana dal via dei Giochi di Parigi parla la campionessa: "Pensare che dopo due decenni non ci sarò nella finale dei 200 sl mi fa sorridere..."

L'Italia alle Olimpiadi senza Fede dopo vent'anni. "Io, bambina ad Atene adesso sono una mamma. È il cerchio della vita"

Senza di lei alle Olimpiadi. Dopo venti anni. Ci sono i Gimbo Tamberi e i Marcell Jacobs, c'è l'atletica che deve riaccendere le luci di Tokyo e abbagliare come a Roma. Ci sono i Sinner numeriunodelmondo e i Musetti e le Paolini che vorrebbero esserlo, c'è la scherma che ha tanta, ma proprio tanta voglia di infilzare podi e medaglie trasformando fioretti, sciabole e spade in luccicanti spiedini. C'è un arcobaleno di italiani pronto a colorare e far grande quest'Italia a cinque cerchi in tutti gli sport, quelli minori, si dice così, sport piccini e piccolini e invisibili per lunghi anni ma graditissimi se pret-a-porter di medaglie olimpiche. E c'è soprattutto, dopo venti anni, il suo nuoto con una carica di eredi mai vista però tutti con la paura, timore, apprensione di non riuscire ad essere alla sua altezza.

Federica Pellegrini, c'è da sentirsi in colpa. Prima olimpiade senza di lei parafulmine di tutto. Ad Atene 2004 era una bambina, a Parigi ci andrà con una bambina.

«Eh, sì... la mia Matilde. Ad Atene ero piccola, non ero ancora adolescente. Si cresce, si evolve, è la vita. Mi fa sorridere che dopo venti anni a Parigi ci sarà una finale dei duecento stile libero senza di me. Nelle ultime cinque Olimpiadi c'ero sempre stata, ero lì, ai blocchi».

Nostalgia, rimpianto?

«No, grandissimo orgoglio per essere stata per venti anni nell'élite del nuoto. Però cambiano i sogni, soprattutto cambia il tuo corpo».

Ha scoperto un nuovo corpo?

«Gli atleti lavorano tutta la vita sul corpo, tanto più che il nuoto è uno sport di performance pura. Gira tutto attorno ad esso e quindi, appena smetti di nuotare, ti accorgi che il corpo si assesta su una quotidianità a cui non era abituato. È un corpo che quasi non riconosci».

Migliore?

«Diverso. L'altro corpo, quello atletico e familiare, lo riconoscevi perché era sempre stanco alla sera, giorno dopo giorno, invece quando smetti di nuotare capisci per la prima volta che cosa significhi svegliarsi con un corpo non dolorante. E questa è stata una bellissima esperienza. Forse perché dopo venti anni a questi livelli ero arrivata al punto che il mio corpo si mangiava da solo da quanto era stanco».

Si è ricostruita.

«Assolutamente. Il primo anno senza nuoto è stato splendido, mi ha dato un grande piacere dal punto di vista psicologico. E nel secondo la gravidanza: sono passata dal corpo finalmente non più dolorante a quello che si adattava, modificava. E ora, che sta tornando com'era prima, sono alle prese con l'evoluzione più difficile e incredibile: perché rivedo il corpo a cui sono abituata ma è tutto attorno che è cambiato perché c'è una nuova vita di cui occuparmi».

Parla del corpo come di uno strumento.

«Parlo del corpo perché per me è sempre stato la cartina tornasole di tutta me stessa. E ora non mi vedo più atleta, anche se lo sarò sempre nella testa. Solo l'idea di macinare km con un corpo che non riesce a stare al passo con quel che pretende la testa, sarebbe davvero deprimente. Non sarei tornata neppure se non fossi diventata mamma».

Molto bene. Lei può fare a meno del nuoto, ma l'Italia può fare a meno di lei?

«Accorgermi di mancare agli appassionati mi dà il termometro di quanto fatto».

Non abbiamo più Fede delle medaglie, Fede della tensione, Fede della gioia, Fede delle lacrime, Fede da criticare...

«Vivo con orgoglio tutto quel che sono stata per gli altri».

Eredi?

«Credo che il nuoto abbia avuto e ha tantissime punte di diamante. Adesso è un nuoto che, proprio per questa pluralità di protagonisti, appassiona ancora di più. Siamo competitivi in tantissime gare. Questa nazionale è la più forte che ci sia mai stata: forse non arriveremo ai tre ori di Sydney 2000, ma sicuramente raccoglieremo molto».

Prima Novella Calligaris, poi Federica Pellegrini: nel nuoto da decenni le prestazioni agonistiche di uomini e donne hanno pari dignità. Merito vostro?

«Sicuramente Novella e io abbiamo fatto tantissimo. Ma con noi metterei Alessia Filippi e ora Benedetta Pilato, Simona Quadarella. Però ritengo che sia proprio il nuoto come sport ad essere paritario: stessi calendari, stessi collegiali, uomini e donne mai separati, gare maschili e femminili alternate. Siamo sempre assieme. Il nuoto è un'isola felice per la parità e il pubblico glielo riconosce».

A Tokyo dal nuoto zero ori ma ha saputo reagire. Uomo o donna non importa: chi è il nuovo o la nuova leader?

«Fra gli uomini l'unico che si è esposto per questi Giochi è Thomas Ceccon... Fra le donne, Parigi farà chiarezza sulle potenzialità personali di tutte».

Ci sarà la giovane Sara Curtis, 17 anni. Lei bambina di Atene 2004 che cosa consiglia alla bambina Curtis di Parigi 2024?

«Di godersela. La prima Olimpiade è sempre strana; io ricordo la mia nel 2004 con un incredibile senso di spensieratezza, non avevo assolutamente idea dell'importanza dell'evento che stavo vivendo, lo affrontavo come fosse un campionato regionale; è stato quando sono tornata a casa che ho capito che non era un regionale...».

La pressione di quei giorni?

«No, bella anche quella. Perché poi è l'Olimpiade stessa che cambia nel tempo: ogni 4 anni c'è una evoluzione personale che te la fa vivere in modo completamente diverso».

Si augurerebbe una carriera agonistica per sua figlia Matilde?

«Domanda difficile. Perché un conto è stata viverla in prima persona e un altro sarebbe da mamma. Sicuramente in certi periodi della mia carriera per mia madre non è stato facile: penso al mio periodo da sola a Milano, penso alle crisi, penso alla morte di Alberto (Castagnetti, il suo padre-allenatore), penso ai molti cambi di tecnico.... Da dentro invece, da figlia e da atleta, dico che è stato tutto fighissimo e lo auguro a Matilde».

Già qualche idea da suggerirle quando lo chiederà?

«Di recente sono andata al centro di preparazione olimpica dell'Acqua Acetosa e quando sono entrata, anche se ora Matilde è troppo piccola per capire, l'ho guardata nel passeggino e le ho detto lo vedi questo posto? È un luogo molto importante e forse fra qualche anno ci verrai da sola. È stato emozionante quel momento. Da parte mia cercherò di sostenerla più che posso».

E i momenti bui, di quelli ne è valsa la pena?

«Tutta la vita!».

La testa, la psiche, quanto conta aiutarla nello sport?

«Tanto e in Italia siamo ancora indietro. All'estero sono avanti perché hanno persone dedicate fin dai primissimi livelli dell'agonismo. E poi per loro è normale chiedere aiuto a livello mentale, mentre qui se lo fai ti guardano come se per forza ci fosse qualcosa che non va».

Ronaldo ha pianto agli ultimo Europei, ed è uno che ha vinto tutto. Un po' come lei.

«E per un rigore sbagliato. In quelle lacrime c'è l'essenza del vero agonista. Le lacrime amare dopo una prestazione sbagliata sono il metro dei grandi che danno tutto e vogliono tutto».

Quindi dietro le sue frequenti lacrime si nascondeva forza.

«Se ci tieni tanto sì. Forse le mie lacrime meno capite sono state quelle nel 2005 per l'argento mondiale di Montreal; però se arrivi pronta per vincere e lo vuoi con tutta te stessa e metti sangue l'intero anno e prendi l'argento, è un doversi accontentare che a te non sta bene».

Lei è la persona più adatta a commentare il peso della bandiera... nel senso del portabandiera. Lo è stata a Rio, e quattro anni prima, per Londra, si era tirata fuori dalle candidature.

«Sono sempre stata molto diretta. E coerente con me stessa, e lo rifarei altre mille volte. Logico che portare la bandiera sia un grandissimo onore e per me nel 2016 è stata il coronamento di una carriera. Bellissimo. Però ci sono delle parti tecniche e organizzative dietro la cerimonia che un atleta che prepara il fisico a competere al 110% e lotta sui centesimi di secondo e si allena da quattro anni deve considerare se il giorno prima si deve fare sei ore in piedi per aspettare di portare la bandiera... Perché quello che non si sa è che la tv riprende solo il passaggio nello stadio, quei 30 secondi, ma in realtà i ragazzi partono alla mattina dal villaggio olimpico per posizionarsi e aspettare in coda fuori dallo stadio il turno di entrata. Per cui è fisicamente molto provante per un atleta che si gioca sui centesimi e i millimetri quattro anni o una vita di lavoro. Questo per dire che a Londra 2012 il nuoto iniziava il giorno dopo la cerimonia e per me poteva essere un problema».

Ci furono molte polemiche.

«Sul momento, strumentalizzate».

Flop azzurro agli Europei di calcio.

«Il calcio ha un potere di risonanza incredibile: è l'unico sport che ti unisce così per la nazionale. Questo è bello, ma dispiace se poi il risultato non arriva e tutti vivono la sconfitta come una disfatta per il paese. Per fortuna non esiste solo il calcio, per fortuna ci sono le Olimpiadi».

Gli atleti russi estromessi dai Giochi. Anche quelli non compromessi con frasi pro guerra.

«Lo giudico un errore. Perché l'atleta è un atleta, lo sport deve rimanere neutrale rispetto a qualsiasi decisione politica, l'atleta resta super partes a meno che non si sia esposto in favore della guerra. La loro assenza toglierà molto ai Giochi».

E le decine di nuotatori cinesi trovati positivi prima di Tokyo e che la Wada ha ritenuto vittime di una intossicazione alimentare? Forse ci ha rimesso la sua ultima medaglia?

«Eh sì... Essendo ora anche membro della commissione atletica del Cio, mi sono spesa tantissimo per cercare di capire la vicenda. Ho letto tutte le carte, ho provato a fare ogni domanda possibile: il problema fondamentale è che la Wada non lo riconosce come caso di doping e l'hanno archiviato proprio come una contaminazione. Non so che cosa pensare, è un caso che fa discutere tutto il mondo e la Wada ha perso molta credibilità.

Perché in tutti i casi precedenti quando c'è stata anche una negligenza o una contaminazione, l'atleta è stato fermato per accertamenti e invece stavolta si è andati avanti e gli atleti hanno continuato a gareggiare e non sono mai stati fermati neanche a livello precauzionale. Quel che fa arrabbiare è che se fossero stati fermati non si sarebbero qualificati e se non si fossero qualificati forse quella medaglia della mista-mista a Tokyo ce la saremmo presa».

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