Sinner a 1000: "Il mio tennis è come un gioco di squadra"

Dopo Toronto riparte da Cincinnati: "Con Vagnozzi e Cahill ho un team perfetto". E ora punta agli Us Open

Sinner a 1000: "Il mio tennis è come un gioco di squadra"
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Oggi Jannik Sinner compie 22 anni e, nonostante lui dica che è un giorno come un altro, il regalo se l'è fatto a Toronto, facendone uno anche a noi. Ora che ha vinto il suo primo Masters 1000, anche quelli sempre scettici sul suo talento probabilmente capiranno che il tennis italiano ha trovato colui che presto diventerà il nostro numero uno di sempre. E possibilmente il Numero Uno.

Ce lo godiamo, insomma, questo momento vissuto dal ragazzo di San Candido davvero candidamente, senza troppo entusiasmo inutile ma con una maturità acquisita che trasforma la felicità in nuovi obbiettivi da raggiungere: «Dopo l'ultimo punto non ho pensato a niente in particolare: era un momento bello perché lo sogni da tanto tempo, e quando finalmente è arrivato questa è stata la mia reazione. Come dire: ce l'ho fatta. Ognuno festeggia in modo diverso, io sono contento della settimana che ho fatto. Però credo sia ancora più importante il fatto di aver giocato nel modo giusto per vincere la partita: per me è quello che conta di più». Perché è cosi che ragionano i campioni.

E allora, ecco il risultato che mette finalmente d'accordo tutti, anche se sugli immancabili social c'è chi ha già cambiato obbiettivo, invitando Berrettini a prendere esempio invece di correre dietro «alle soubrette». Tant'è, in Italia si usa così, però nel mondo del tennis invece quel che conta è la classifica, e questa racconta che battendo Alex De Minaur in Canada, Sinner è salito al numero 6 della classifica mondiale, a soli 65 punti dal numero 5 e a un passo a quel numero 4 che fu di Adriano Panatta nell'anno di grazia (sua) 1976. E se a questo aggiungiamo che è numero 4 nella Race, ovvero la graduatoria che apre le porte agli otto posti per Atp Finals di Torino (praticamente già raggiunti), si capisce che stiamo parlando di una stagione straordinaria, visto che ad agosto siamo già alla vittoria numero 41, contro le 49 di tutto il 2022. E quindi, come da suo prossimo traguardo, della vigilia di un futuro sempre più roseo.

Il terzo tentativo di vincere uno dei 9 tornei giusto sotto gli Slam, dopo le due finali perse a Miami prima con Hurkacz (2022) e poi con Medvedev (2023), è stato diverso. Perché per la prima volta Jannik era favorito e perché la tensione, soprattutto nel primo set, poteva giocargli un brutto scherzo. Ma De Minaur, talentuoso muro di gomma, non aveva la potenza per opporsi al gioco dell'amico-nemico, e alla fine il punteggio (6-4, 6-1) ha disegnato la differenza. È finita così dunque una settimana particolare per entrambi, visto che erano partiti dalla stessa parte della rete in un match di doppio (perso) il lunedì, ed hanno finito giocandosi il trofeo, sapendo che chiunque avesse vinto sarebbe stata la prima volta. Gli dei del tennis hanno votato Sinner, e non poteva essere altimenti: «Prima del match abbiamo fatto un riunione in videoconferenza con Vagnozzi - ha detto poi -, perché questa settimana c'era solo Cahill al mio angolo: abbiamo trattato la partita come fosse un match normale, anche se è stato un po' complicato. Però ha funzionato, e Simone ora ci ha raggiunto a Cincinnati per ricominciare tutto daccapo verso una nuova opportunità». Perché è la squadra il segreto di Jannik. E la domanda, sua e nostra, a questo punto è: a quando uno Slam?

La risposta comincia appunto dal torneo (un altro Masters 1000) nel quale, finito il ban per i non vaccinati, torna Djokovic sul suolo americano. E se dopo una vittoria così sarebbe normale tirare un po' il fiato, è vero anche che i campioni veri non riposano mai. Anche perché poi arrivano gli UsOpen, e quindi il primo appuntamento possibile per entrare definitivamente nell'immortalità tennistica. A Sinner, s'è visto, il cemento piace molto. E i miglioramenti voluti dal suo staff sono evidenti: il servizio è più efficace, anche se da progredire nella continuità; le variazioni lo portano più spesso a rete, anche se ancora il gioco di volo non è istintivo. Insomma c'è sempre margine per fare di più, ma lui è ormai pronto: lo scorso anno a New York si è piegato solo ad Alcaraz - nei quarti e al quinto set -, ogni sogno diventa possibile. «Sono proprio felice - conferma-, il mix tra i miei coach è davvero bello: Simone, per quanto riguarda i colpi, la tecnica, è molto preparato; Darren sa come preparare i momenti importanti o le partite che contano: ha visto tante partite durante la sua carriera da allenatore ed è anche un personaggio importante.

Ti dà sicurezza, sebbene sia sempre rilassato. Sul campo stiamo lavorando sodo, abbiamo lavorato sul piazzare i colpi e anche tecnicamente. Insomma: penso che stia andando tutto bene tra noi». Sì, va tutto bene. E andrà ancora meglio.

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