Stop alla scuola che plagia i ragazzi

Manuali di Storia con toni militanti e diktat dei sindacati rossi: l'insegnamento pubblico si trasforma in indottrinamento. Con la riforma le cose cambiano. Contraddizioni progressiste: quelli che contestano il governo ma mandano i figli alle private. VOTA

Stop alla scuola che plagia i ragazzi

Che cosa sono i gulag? Un «errore di valutazione». E le foibe? Mai esistite. Chi era Lenin? Un sincero democrati­co. Le Br? Fascisti inconsapevoli. E comunque bisogna capirli: volevano la giustizia sociale. Mica come Berlusco­ni che è «un delinquente che porta l’Italia nel caos». Einau­di e De Gasperi? Due tradito­ri della Repubblica. Le forze della sinistra? La sola garanzia del rispetto della Costituzione. E Stalin «appariva rassicurante nella sua immensa autorità, un’autorità dura ma giusta». Si­curo: dura ma giusta. Scusate ci siamo sbagliati: non erano purghe. Al massimo una dolce euchessina.

Basta sfogliare i manuali su cui studiano abitualmente i no­stri ragazzi per capire come la scuola a volte rischi di diventa­re­un vero e proprio corso di in­dottrinamento. Su un testo di psicologia in uso nei licei, per esempio, sta scritto esplicita­mente che drogarsi fa bene: la marijuana «dà un senso di be­nessere » e «non ha controindi­cazioni ». Ma più che il fumo de­gli spinelli è quello dell’ideolo­gia ad avere invaso le cattedre: in una scuola media di Torino, per esempio,c’era un professo­re che fino a qualche tempo fa, all’inizio delle lezioni, al posto dell’appello faceva proclama­re ai suoi studenti: «Avanti po­polo ». Poi, invece delle poesie di Leopardi, faceva scrivere al­la lavagna e imparare a memo­ria «Bella ciao». Perfetto, no? Se mettiamo l’Internazionale al posto di Manzoni e sostituia­mo Foscolo con «Fischia il ven­to infuria la bufera » il program­ma è completo. Chi studia be­ne può andare in gita scolasti­ca. A Cuba, naturalmente.

Del resto che conquistare l’egemonia nella scuola sia sta­to sempre un obiettivo della si­nistra italiana, da Gramsci in giù, non è una novità. E come ciò sia avvenuto è evidente: at­traverso i sindacati, che hanno avuto il compito di organizzare militarmente gli insegnanti. E che hanno imposto loro un sini­stro baratto: bassi stipendi e progressivo impoverimento economico e professionale in cambio di aumento smisurato dei posti, scarsi carichi di lavo­ro e nessun controllo né valuta­zione. Risultato? Oggi gli inse­gnanti italiani sono i più nume­rosi del mondo, in rapporto agli alunni, ma i meno pagati. E la scuola? È andata a pezzi. Per rendersene conto, se non si cre­de alle statistiche Ocse, basta andare davanti a qualsiasi isti­tuto superiore. Si scopriranno frotte di ragazzi convinti che la genetica è la scienza che studia gli organi genitali, il franchi­smo è il periodo in cui regnò il dittatore Pippo Franco, Phila­delphia è la capitale del formag­gio Kraft e la rivolta dei Boxer ha a che fare con qualche som­movimento delle mutande. L’unica via per uscire da que­sto tunnel d’ignoranza in cui ci siamo cacciati è quella che sta percorrendo, egregiamente, il ministro Gelmini: riformare la scuola e l’università cercando di incidere sulle incrostazioni polverose del sessantottismo per riportare un po’ di discipli­na e di meritocrazia, pagando di più gli insegnanti che merita­no e rompendo l’egualitari­smo di stampo maoista che sembrava un totem in sala pro­fessori. Ora: che il cambiamen­to dia fastidio lo si può anche capire. Ma cercare di bloccarlo tornando a scatenare furiosa­mente la polemica scuola pub­blica­scuola privata, prenden­do a pretesto una frase del pre­mier, come fa la sinistra a corto di argomenti, è una solenne be­­stialità, degna per l’appunto de­gli stupidari scolastici, quelli che riportano frasi mitiche co­me «Vasco de Gama?Circonci­se l’Africa. E Carpe Diem? Oggi pesce».

Fra l’altro dovrebbero saper­lo anche i sassi e i Franceschini, ormai, che la «scuola privata» non esiste. La scuola, in effetti, è sempre un servizio pubblico, chiunque sia ad amministrar­la, Stato o ente privato. Qual è il punto, dunque? Semplice: ga­rantire a tutti la libertà di sce­gliere. Dare, cioè, alle famiglie la possibilità di decidere quale formazione impartire ai figli, un argomento troppo delicato e troppo importante per essere lasciato al caso o alle fumerie d’oppio ideologico. Vuoi che tuo figlio tutte le mattine intoni «Avanti popolo»? Prego, vai al­la scuola media di Torino. Vuoi che tuo figlio reciti l’Ave Maria? C’è la scuola cattolica. Preferi­sci un’ode ad Hare Krishna? Vai alla scuola degli arancioni. Una volta che le scuole rispetta­no gli standard stabiliti dal mi­nistero, l’unico problema è mettere le famiglie in condizio­ni di optare per l’educazione che ritengono più opportuna. E chi ha paura di dare quest’op­portunità, evidentemente, o non ama le famiglie oppure non ama la libertà. E dunque preferisce mantenere il mono­polio dell’indottrinamento per continuare a inculcare all’infi­nito le solite menzogne: i gulag non esistono, le Br erano fasci­ste, Stalin era «giusto» e il com­pagno Cossutta è l’unico cam­pione democratico italiano.

È successo anche questo, recen­temente, in una scuola elemen­­tare: Cossutta, l’uomo del­­l’Urss, campione democrati­co. E ditemi voi, allora, se la do­manda non è legittima: passi che un maestro elementare confonda il Pcus, Breznev e la democrazia. Ma io devo essere proprio costretto ad affidare a lui i miei figli?

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