STORIE DI ANTIBERLUSCONIANI

Dal Vangelo secondo Michele, versetto 17, capitolo 1: «Al liceo è studente intelligentissimo ma terribile sul piano disciplinare. Le doti di personalità, che ne faranno l’anchorman che conosciamo, si vedono subito. Già leader della sua classe, una volta intavola una trattativa con l’insegnante per poter alternare a un’ora di lezione un’ora di assemblea. E naturalmente la spunta». Intelligentissimo, leader, autonomo, creativo, ardito, indipendente, coraggioso, che altri aggettivi celebrativi dà lo Zingarelli? Una buona parte è qui, in questa agiografia in vita di Michele Santoro, opera dell’ultimo apostolo del Sant’orismo, un medico di Lamezia Terme con la passione per la tv. Il dott. Giandomenico Crapis ci illumina sull’epifania del «professionista irriducibile a qualsiasi potere», dalle prime prediche salernitane alla crocifissione in video.
«Michele Santoro. Comunque la pensiate», titolo e sottotitolo del libro edito da Aliberti, racconta vita, resurrezioni e miracoli del rampante giornalista cresciuto sotto l’ala del Pci (con qualche fuga nel maoismo), militante con tessera di partito ma con aurea di insofferente ai poteri partitici, una figura senza la quale (qui partono flauti e arpe del biografo) «il mondo della tv sarebbe più piccolo», perché l’inventore di Annozero (violini in crescendo) è «uno dei protagonisti assoluti del giornalismo televisivo italiano degli ultimi vent’anni», insomma (gran finale con percussioni e trombette, ma anche tromboni): «Santoro e la televisione sono un binomio indivisibile». Sia santificato il suo nome, sia fatta la sua volontà, così su RaiTre (agli esordi) come su RaiDue (adesso).
Il monumento a Santoro, «una star televisiva di prima grandezza», ha già trovato entusiastiche recensioni su giornali di solito poco teneri, vedi il Fatto, vedi Marco Travaglio, vedi il contratto di Marco Travaglio col programma di Santoro. Ieri il quotidiano di Padellaro ha pubblicato diverse cartelle dell’opera, la parte relativa al giovane profeta della libera informazione, parabole e novelle in terra salernitana. Nell’editoriale, Travaglio aveva appena finito invece di stroncare, preventivamente, il prossimo libro natalizio di Vespa. Ma c’è libro e libro, conduttore e conduttore, e l’agiografia dell’amico Michele vale almeno una lenzuolata di pagina. Anche perché la vita di Santoro è piena di aneddoti eroici e imprese valorose, a cominciare dagli inizi, anche se il testo non ci racconta nulla del Michele pre-puberale e del Santorino in età scolare, chissà che battaglie per la merendina libera o il diritto alla gita in pullman.
Dalle pagine esce un irregolare molto sui generis, per la verità, visto che muove i primi passi giornalistici in un quindicinale finanziato dal Pci, la Voce della Campania, di cui diventa giovanissimo direttore a 28 anni. E che poi, quando tira aria brutta, passa in un battibaleno all’Unità, organo del Pci. Però lì «non lo fanno lavorare, i suoi articoli vengono massacrati, subisce un boicottaggio che rasenta il paradosso». È così inviso alla politica e al partito di cui è tesserato, che il Pci lo prende in cura (nella persona di Giuseppe Vacca, già deputato del Pci e direttore dell’Istituto Gramsci, a quell’epoca consigliere Rai per conto di Botteghe Oscure) e lo piazza in Rai, pozzo senza fondo di assunzioni decise dalle segreterie di partito. L’indipendente Santoro sbarca a Viale Mazzini con il timbro postale del Pci, per farsi una carriera da ribelle al potere, e dal finestrino del treno con cui lascia la sua Campania si fa prendere dalla rabbia: «Non mi ci vedranno più in questo schifo. Non tornerò più. Lo dico ai palazzoni grigi che sfilano lungo i binari, lo dico alle lenzuola sventolanti». Ma ci tornerà a breve, nella sua nuova dimora sul golfo di Amalfi.
«L’indole polemica e insofferente contro ogni establishment» lo fa entrare dunque in Rai come comunista, e non solo, anche come sindacalista. La lottizzazione selvaggia della tv pubblica fatta dal Pci, che però denunciava le lottizzazioni di Dc e Psi, non imbarazza per nulla l’apostolo dell’autonomia di pensiero Santoro, che anzi dice: «Se non ci fossero stati i partiti fare il giornalista sarebbe stato come fare il farmacista, che devi avere una farmacia in famiglia». Una massima di grande indipendenza dalla politica.
Ma l’agiografia prosegue nella celebrazione del giornalista «scomodo al potere», in Rai sotto la protezione di Sandro Curzi e della sua Telekabul, poi fenomeno di successo mediatico con Samarcanda, poi i problemi in Rai e le promesse, quando si vocifera di un corteggiamento da parte di Mediaset: «Samarcanda non è patrimonio soltanto mio, è del suo pubblico. A Palermo questo pubblico mi gridava: non andare con il Berlusca, sarebbe un tradimento!». Passa poco e Santoro trasloca dal Berlusca, a Mediaset, con Moby Dick.

E lì sì che diventa scomodo, lo scaricano pure gli amici, Curzio Maltese verga su Repubblica un pezzo per ironizzare sul flop di ascolti, titolo: Il tribuno restò senza folla. Ma sarebbe stata solo una parentesi, sarebbe tornato presto all’ovile Rai, con passaporto di sinistra e poi anche seggio a Strasburgo. Ma sempre con molta insofferenza verso il potere.

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