La prosperità economica e il benessere sociale dei territori sono strettamente legati alla qualità degli ecosistemi. Basti pensare ai danni derivanti dalla siccità, dalla presenza di specie «aliene» (come il granchio blu), dalle infezioni che periodicamente colpiscono gli allevamenti. Ma anche alla competitività dei sistemi economici, alla qualità delle infrastrutture sociali e dei sistemi formativi. Per assicurare uno sviluppo sostenibile, da tutti i punti di vista, è quindi cruciale attuare politiche pubbliche coerenti e integrate, volte a far crescere in modo sinergico le diverse dimensioni dello sviluppo sostenibile, coerentemente con i 17 Obiettivi dell'Agenda 2030 dell'Onu, da declinare e perseguire a livello locale sia nelle aree urbane che in quelle più interne. È importante che si agisca con lungimiranza, guardando al futuro e promuovendo l'Agenda 2030 come il faro delle politiche nazionali e territoriali, proprio come stiamo facendo in questi giorni, attraverso il Festival dello Sviluppo Sostenibile, una grande mobilitazione della società civile con oltre mille eventi sul territorio italiano.
I dati elaborati dall'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), che annualmente pubblica un Rapporto dedicato ai diversi territori del nostro Paese mostrano che, negli ultimi dieci anni, la situazione di molte città e di molti territori italiani è tutt'altro che buona: in diverse Regioni è peggiorata la qualità degli ecosistemi e dei servizi idrici, sono aumentate le disuguaglianze e la povertà, lo sviluppo economico non è stato in grado di migliorare significativamente il benessere delle persone. Sono aumentate anche le disuguaglianze tra le Regioni per sette dei 17 Obiettivi (salute, istruzione, parità di genere, sistemi idrici, energia, città e comunità, qualità degli ecosistemi terrestri), sono diminuite solo per due Obiettivi (lotta alle disuguaglianze e qualità delle istituzioni).
La volontà di affrontare in maniera responsabile e lungimirante il tema dello sviluppo locale sostenibile dovrebbe guidare le scelte politiche e imprenditoriali, orientandole verso investimenti infrastrutturali e sociali capaci di garantire a tutti l'accesso universale ai servizi essenziali, come la salute, l'istruzione e la mobilità, ma anche di offrire opportunità di sviluppo alle iniziative imprenditoriali rispettose degli ecosistemi. Specialmente in una condizione di crisi climatica, infatti, per proteggere le persone e valorizzare città e territori bisogna fare maggiore attenzione ai rischi naturali e antropici. Basta pensare che, nel periodo 2013-2019 per la prevenzione del rischio idrogeologico è stato speso un decimo (2 miliardi di euro) di quanto è costato gestire le emergenze e riparare i danni (20 miliardi), senza considerare le vittime e il costo sopportato dai privati. Proprio il tema dei rischi naturali e antropici, da considerare in relazione ai gravi danni prodotti dai cambiamenti climatici, è un aspetto che dovrebbe acquisire una centralità sempre maggiore nel disegno delle politiche. Insieme al rischio sismico e vulcanico, significativo in una vasta parte del Paese per la diffusa vulnerabilità di edifici e infrastrutture, bisogna sottolineare che le alluvioni si stanno moltiplicando con grande frequenza - solo nel 2023 in Emilia-Romagna, Toscana, Marche e vari territori in altre Regioni - e che le frane censite sul territorio nazionale sono oltre 621mila, circa il 66% di quelle complessivamente rilevate in Europa.
La buona notizia è che molti territori si sono incamminati verso l'uso dell'Agenda 2030 per definire le proprie politiche e le programmazioni a medio-lungo termine. Numerose Regioni, seguendo le indicazioni della Strategia Nazionale di Sviluppo Sostenibile e con il supporto dell'ASviS, hanno costruito i loro piani strategici sulla base del 17 Obiettivi. La stessa cosa hanno fatto diverse città. Nove città italiane - Bologna, Bergamo, Firenze, Milano, Padova, Parma, Prato, Roma e Torino - sono state selezionate dalla Commissione europea per la Missione sulle città intelligenti e a impatto climatico zero, in base alla quale si sono impegnate a raggiungere, entro il 2030, la neutralità climatica. L'impegno passa attraverso un approccio di trasformazione sistemica, che riguarda questioni come l'innovazione delle mobilità, l'efficientamento energetico, l'educazione, la sostituzione dell'energia proveniente da fonti non rinnovabili con quella da fonti rinnovabili, la riduzione della quantità di rifiuti conferiti ai termovalorizzatori, la piantumazione e l'aumento del verde urbano, nonché l'innovazione digitale e l'utilizzo dei dati a sostegno della transizione climatica.
Le buone pratiche da cui prendere esempio per migliorare le politiche territoriali nella direzione dello sviluppo sostenibile non mancano. In Lombardia e in Emilia-Romagna, ad esempio, sono stati sviluppati modelli di perequazione territoriale che incentivano un utilizzo più efficiente del territorio, contrastando la dispersione urbana e il consumo di suolo. Il Parco nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano ha attivato la vendita di crediti di sostenibilità alle imprese, che li acquistano per sostenere la gestione forestale e compensare così gli impatti ambientali che ancora non riescono a ridurre o eliminare.
I problemi da affrontare sono numerosi e molto complessi. Uno dei più urgenti riguarda la questione abitativa. In Italia abbiamo un numero elevatissimo di persone in difficoltà perché non riescono a pagare l'affitto o vivono in condizioni disagiate. Fasce sempre più ampie della popolazione si confrontano con un mercato per loro inaccessibile. Un'altra questione di grande importanza è quella dell'inquinamento atmosferico. Nonostante la qualità dell'aria sia in generale migliorata rispetto al passato, in Italia ogni anno ancora muoiono prematuramente a causa dell'inquinamento atmosferico circa 60mila persone. È un fatto gravissimo, che spiega bene perché sull'Italia gravino tre procedure europee di infrazione a causa del superamento dei limiti degli inquinanti atmosferici. Tra le aree maggiormente critiche troviamo il bacino padano, la zona della Valle del Sacco nel Lazio e gli agglomerati urbani di Napoli e Caserta. Il nuovo ciclo di politiche territoriali 2021-2027 finanziate da fondi europei e nazionali è un'occasione imperdibile per fare un salto di qualità nella direzione di politiche integrate nel nome dello sviluppo sostenibile.
A patto, però, che si superino i tanti problemi evidenziati nel passato, che hanno visto l'Italia sprecare una quota significativa dei fondi europei o disperderli in microprogetti senza un reale impatto per le comunità e il territorio.Enrico Giovannini
*Direttore Scientifico dell'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile ASviS
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