Lo strapotere dei banchieri? Messo in burla da Dürrenmatt

Così l’«illuminista» Kant dava voce agli oscuri non illuminati dal proprio intelletto in sonno: «Purché possa pagare, non ho bisogno di pensare: saranno altri a sobbarcarsi al posto mio questa fastidiosa occupazione». Potendo pagare ci si toglie dall’imbarazzo del pensare. Ma quando a non poter più pagare sono le banche, persino a loro tocca di pensare. E sono spesso pensieri criminali. Quei pensieri criminali che Friedrich Dürrenmatt, «illuminista» a sua volta, sebbene ombreggiato dalle gotiche fronde dell’elvetitudine da lui sagacemente descritta (per esempio in Giustizia, recentemente riproposto da Adelphi), colora con toni da commedia in Franco Quinto (Marcos y Marcos, pagg.158, euro 12), una pièce che sta fra lo Shakespeare «leggero» e i goliardici Festspiele, fra teatro dell’assurdo e l’assurdo di un teatro in cui si muovono marionette grottesche. Franco Quinto è il nome del quinto di una dinastia di banchieri svizzeri. Gran burattinaio che giostra a piacimento i destini del procuratore, del capo del personale, degli impiegati, dei familiari (moglie e due figli) e, ovviamente, dei poveri clienti, ha problemi di salute, ma soprattutto ha problemi di liquidità. Da una quarantina d’anni si balocca, come i suoi avi, con i giochetti del dare e dell’avere, spostando debiti e crediti in un risiko sul filo del rasoio. Lo Stato lascia fare, la concorrenza non è certo nelle condizioni di scagliare l’evangelica prima pietra, i risparmiatori, proprio come i non illuminati di cui sopra, preferiscono non darsi la briga di pensare, accontentandosi di chiedere il saldo.
Tutto ciò vi ricorda forse le Banche centrali distratte, gli istituti che si lavano le mani a vicenda ma senza riuscire a lavarsi le loro facce di palta, i Bot people o i boccaloni dei Bond argentini? Ma com’è possibile? Dürrenmatt scriveva mezzo secolo fa... E il suo genere d’elezione non è la fantascienza. Eppure, già allora era credibile (nella finzione letteraria, per carità!) il procuratore Böckmann che dice: «Sono dei gran brutti tempi, i nostri! Noi viviamo purtroppo in uno stato di diritto. Ci manca completamente l’ambiente favorevole di una corruzione generale, alla quale poterci richiamare per dare un fondamento morale ai nostri principi d’affari. Non abbiamo nessun ministro delle finanze o capo della polizia corrotti da presentarvi, e neppure dei revisori dei conti venali; è veramente un disastro, intorno a noi imperversa la più totale e brutale onestà...». Quando poi sull’operato dell’esimio Franco s’allunga l’ombra di un fantomatico ricattatore che si dice a conoscenza degli scheletri presenti nell’armadio-cassaforte (inclusi alcuni omicidi) e chiede in cambio venti milioncini, l’intera brigata, dovendo togliere la mano dal portafogli altrui per metterla sul proprio, ritrova lo spirito di corpo. Tuttavia qualcuno la pagherà cara, e non in termini di semplici franchi.

Poco importa, tutto sommato, i Franchi, nel senso di banchieri in carne e ossa, sono duri a morire e dopo il Quinto ci sarà il Sesto. Così, se il passato è stato all’insegna della bancarotta, il futuro ha un avvenire custodito nella bambagia della banca. Svizzera, oltretutto.

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