Gian Micalessin
Quattro sono già scomparsi, arrestati o meglio prelevati dai guardiani della rivoluzione mentre ritornavano dalla prima contestazione pubblica a un discorso del presidente Mahmoud Ahmadinejad. Un episodio senza precedenti in questanno e mezzo di governo. Il primo sprazzo di contestazione dopo 18 mesi di totale silenzio da parte dei gruppi del dissenso e dellopposizione.
Ma ieri allimprovviso la protesta studentesca è sembrata riaccendersi. Immediata è arrivata anche la risposta dei pasdaran, prontissimi nel mettere le mani su quattro protagonisti dellimprevista quanto temeraria interruzione del discorso tenuto dal presidente in ununiversità di Teheran. Tutto inizia alluniversità Amir Kabir, dove già 24 ore prima qualche centinaio di studenti riformisti aveva fatto sentire la sua voce denunciando lo scioglimento coatto di unassociazione giovanile dispirazione liberale.
«La direzione delluniversità era stata avvertita, avevamo detto di non essere disposti ad accettare la presenza di Ahmadinejad in questa sede - ha riferito Mehdi Hatefi, attivista dellorganizzazione studentesca Tahkim Vahdat -, per tutta risposta loro hanno cercato di riempire laula portando gente da altre università e soprattutto dallimam Sadegh, lateneo gestito dai Pasdaran... Volevano lasciarci fuori, ma il loro tentativo è fallito».
La sommossa scatta allarrivo del presidente nellaula magna dellateneo. Non appena Ahmadinejad prende la parola, un gruppo di attivisti si fa largo nellaula magna gremita di ascoltatori, dà lassalto alle televisioni ufficiali, dà fuoco ai ritratti del presidente, fa esplodere mortaretti e petardi, e inneggia: «Morte al dittatore». In un attimo si accende la rissa. I militanti dei gruppi radicali, sempre pronti a sostenere il presidente, si gettano nellarena e fronteggiano il gruppo di oppositori. Ahmadinejad è costretto per la prima volta dalla sua elezione a interrompere il discorso e ad assistere, nello stupore e nellagitazione generale, a quella spericolata rivolta.
La televisione e gli organi dinformazione ufficiali si guardano bene dal diffondere le immagini del parapiglia. Il primo riferimento alla contestazione arriva da unagenzia vicina alllo stesso presidente, che mette in rilievo come il numero degli studenti contrari alla dimostrazione fosse di gran lunga maggiore. Il concetto viene suggerito dallo stesso Ahmadinejad, solertissimo, appena riesce a soverchiare la confusione e il frastuono, nel lanciare un messaggio di fuoco ai contestatori: «Sono uno sparuto gruppuscolo di persone che parlano di oppressione, ma in verità finiscono con il creare loro stessi loppressione, non consentendo alla maggioranza di ascoltare le mie parole».
A quella sfida risponde lultimo grido dei ribelli sospinto fuori dallaula. «Gli studenti possono morire, ma non accetteranno mai di essere umiliati». Il presidente ha facile gioco nel descriverli, pur senza dirlo ufficialmente, come sostenitori prezzolati del nemico americano. «Oggi il peggior tipo di dittatura al mondo è quella americana, sempre pronta a travestirsi con i panni dei diritti umani, i nostri studenti sono liberi e hanno più volte dimostrato di saper combattere e morire pur di non accettare gli ordini degli stranieri e di non piegarsi ad essi». Poi, indicando il proprio ritratto incenerito, si definisce onorato di essere dato alle fiamme per aver difeso la nazione e il suo sistema. «Gli americani devono capire che se anche riusciranno a bruciare mille volte il corpo di Ahmadinejad i suoi ideali non verranno neppure scalfiti da quei roghi».
La condanna non si ferma lì. Pochi minuti dopo il gruppetto di contestatori viene intercettato da una squadra di «guardiani della rivoluzione», che cattura e porta via Mehdi Tajik, Nasser Zohre, Nasser Kamali e Hassan Fadwi, quattro studenti della facoltà di Fisica militanti dellAssociazione degli studenti repubblicani.
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