Il subcomandante degli ultrà

L’onorevole Francesco Caruso, appartenente all’attuale maggioranza, ritiene che la vita di un poliziotto impegnato in servizio d’ordine valga quanto la vita di un ultrà che il poliziotto lo vuole ammazzare, e a volte riesce ad ammazzarlo; ritiene inoltre che la tragedia di Catania sia da addebitare all’insufficiente addestramento della polizia. Queste farneticazioni odiose indignano ma non stupiscono. Sono degne di Caruso: e potremmo confinarle nell’ambito della demenza estremista se il loquace giovanotto non fosse inquadrato in un partito di governo, e non fosse stato candidato a un seggio parlamentare da chi occupa adesso la terza carica della Repubblica, Fausto Bertinotti.
Il subcomandante Fausto si chiama fuori da ogni commento, oltre che da ogni responsabilità, per le idiozie del suo pupillo. «Non sono l’angelo custode di Caruso» ha detto, e a chi gli ricordava che a Montecitorio il Caruso ce l’ha portato lui replicava: «Non capisco cosa si voglia dire, Caruso lo hanno votato». La giustificazione non sarebbe valsa in nessun caso. Men che meno vale, tuttavia, con una legge elettorale nella quale, abolite le preferenze, l’elezione dipende dal posto in lista. L’invasato che - non ci vuol molto per capirlo - tra un poliziotto e un ultrà sanguinario preferisce l’ultrà, lo ha voluto lui, padre padrone di Rifondazione, alla Camera dei deputati. E lì se lo può coccolare con legittimo compiacimento. Ma dopo essersi tanto prodigato per quel ragazzo esuberante Bertinotti non può rifugiarsi nell’ambiguità di un «lo hanno votato». È lui che l’ha voluto. Peggio ancora è che il punto di vista di Caruso abbia molti simpatizzanti, per il momento acquattati, nella sinistra del centrosinistra. Infatti Caruso s’è trincerato dietro le dichiarazioni di Haidi Giuliani, madre di Carlo del quale la sinistra ha fatto un eroe della libertà. Haidi aveva adesso un’ottima occasione - riconosciuto tutto ciò che va riconosciuto ai suoi sentimenti - per riflettere sulla fine del figlio. E per chiedersi cosa sarebbe avvenuto se il povero Filippo Raciti, avvistato in tempo l’energumeno che gli si avventava addosso e che l’ha accoppato, fosse invece riuscito a sparare e a stenderlo.
In quel caso non solo l’Italia del tifo criminale, ma l’Italia che per ideologia e per pulsioni eversive odia le forze dell’ordine avrebbe gridato all’assassinio di Stato. Sarebbe stata invocata la messa sotto accusa di Filippo Raciti, si sarebbero levate voci di personaggi importanti per chiedere che piazze e strade fossero intitolate al nome dell’ultrà che contro Raciti si era scagliato. Sarebbero state imbastite inchieste contro la polizia omicida. Filippo Raciti ha dovuto sacrificare la sua vita di galantuomo per evitarci questa ennesima indecorosa sceneggiata, per risparmiarci la paradossale trasformazione di un derviscio impazzito drogato di violenza in un martire della causa: quale causa - se ideologica o calcistica - lo si sarebbe stabilito dopo, l’importante è colpevolizzare poliziotti e carabinieri.

È andata purtroppo in altro modo, è morto il poliziotto.
Ma la senatrice Haidi - di Rifondazione anche lei - è implacabile, e non vuole che siano rilasciati attestati di fiducia alle forze dell’ordine. Caruso è con lei, ovviamente. Bertinotti si defila: io che c’entro?

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