Dopo il successo del Cav La rabbia del menagramo

La speranza di sinista e sindacati era che il piano italiano venisse bocciato. E ora invocano uno sciopero che minaccia di paralizzare il Paese

Dopo il successo del Cav La rabbia del menagramo

Pochi anni fa la Germania decise di rifor­mare il mercato del lavoro. Venne appro­vata una legge che diceva, in sintesi: l'azienda in difficoltà può decidere in qualsiasi momento quanti lavoratori licenziare, il sindacato stabilisce quali in base a parametri suoi (età, anzianità, numero di figli e altro ancora). Il risultato è stato che la disoccupazione è diminui­ta, molte imprese malconce si sono salvate, le al­tre hanno ripreso ad assumere e sono cresciute, il pil è salito. Nessuno è finito sotto un ponte a fare la fame. La differenza tra l'Italia e la Germania è so­prattutto questa: loro possono riformare, noi no. Lo si sapeva, ma ieri ne abbiamo avuto la prova de­finitiva nell'accoglienza che i sindacati hanno ri­servato all'annuncio della riforma sulla libertà di licenziamento, uno dei punti contenuti nella lette­ra- impegno con l'Europa. In una sola parola: scio­pero. Più o meno dello stesso tenore la reazione della sinistra: non se ne parla, Berlusconi vada a casa.

Dimissioni e sciopero. Altro non sanno dire. O meglio non possono dire perché il partito guida dell'opposizione, il Pd, è commissariato dalla Cgil e dall'ala più radicale del suo schieramento. Tutta gente non certo propensa a modernizzare il Paese. Tanto che Bersani deve pregare che Berlu­sconi resista il più a lungo possibile, perché se do­vesse toccare a lui non saprebbe proprio dove gi­rarsi. E il bluff dell'alternativa al berlusconismo si scioglierebbe come neve al sole.

Ma Bersani può stare tranquillo. Perché il diffi­cile parto della lettera di intenti alla fine ha raffor­zato un governo che è stato sull'orlo del baratro. Le cose da fare infatti ora sono chiare e sottoscrit­te una volta per tutte. Tremonti non potrà più mettere il bastone tra le ruote un giorno sì e l'altro anche. La Lega, dopo aver vinto il braccio di ferro sulle pensioni, si placherà per qualche mese. Na­politano farà di tutto per garantire che gli impe­gni presi con l'Europa siano mantenuti. Insom­ma una tregua nell'assalto quotidiano alla mag­gioranza.

Ma un Berlusconi più forte, o se vogliamo meno debole, fa paura a chi nella maggioranza si era spinto a scommettere su un ribaltone imminente e in tal senso si era esposto. Parliamo di una pattu­glia di una dozzina di deputati fagocitati da due ex ministri (ed ex democristiani) in cerca di rival­sa personale: Pisanu e Scajola, il primo messo da parte dopo una non esaltante prova da ministro degli Interni, il secondo inciampato da solo sul pa­sticcio della casa al Colosseo comperata con i sol­di di non si sa chi. Questi signori, non a caso ieri, sono tornati a farsi vivi con una lettera rigorosa­mente anonima fatta recapitare a una agenzia di stampa. I misteriosi (ma non poi tanto) onorevoli chiedono che Berlusconi si faccia da parte.

Un ri­catto in piena regola, che come tutti i ricatti avrà un prezzo. Speriamo che non sia pagato. Per fare cadere una maggioranza bisogna alzare la mano in Parlamento, davanti a tutti. Questo coraggio non l'avranno mai, altrimenti firmerebbero le missive.

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