Le sue pinne finiscono nei piatti cinesi e lo squalo bianco rischia l'estinzione

Secondo un recente studio dell'università di Stanford ne sono infatti rimasti meno di 3.500 esemplari, un numero inferiore anche a quello delle tigri. Motivo: la pesca indiscriminata, con strumenti sempre più sofisticati, messa in atto dall'uomo per farlo finire nella famosa «zuppa», ricetta che sta conquistando l'intera Asia

Fa più notizia l'uomo che morde il cane che il cane che morde l'uomo. Una regola che non si adatta evidentemente al ... pescecane famoso solo come mangiatore di uomini, mentre in è responsabile ogni anno di non più di una decina di attacchi. In realtà è lui a finire spesso nel menù umano, sotto forma di «zuppa di pinne di pescecane». Ricetta che fa andare in deliquio milioni di cinesi. Ma i gourmet con gli occhi a mandorla, con l'esplosione della loro economia, hanno moltiplicato la domanda di questa lecornia. E lo squalo, soprattutto quello bianco, è ormai sull'orlo della estinzione.
La «zuppa di pinne di pescecane» è un'antica ricetta nota e apprezzata soprattutto in Cina che utilizza le fibre di collagene presenti nelle pinne degli squali. La parte della pinna utilizzata contribuisce a dare alla zuppa una consistenza gelatinosa, aggiunge cioè «corpo» al piatto. E nient'altro, perché quanto a sapore è pressoché nullo: di conseguenza la zuppa viene arricchita, utilizzando quasi tutti i tipi di carne, dal pollo al granchio.
Con la crescita delle economie dell'estremo oriente, le cosiddette «Tigri asiatiche», il piatto si è diffuso nell'intero continente. Facendo salire la domanda e di conseguenza la ricerca di questo ingrediente. Tanto che i pescatori usano la crudele pratica di catturare il pesce, amputagli le pinne e poi ributtarlo a mare, dove muore dopo una lunga agonia, per lasciare spazio nella stiva al maggior numero possibile di pinne. Le più prelibate sono la prima dorsale, le pettorali e il lobo inferiore della caudale. Nel mirino dei cuochi cinesi un po' tutte le speci dalle verdesche, ai martello, fino agli squali mako, grigi, bruni, limone, tigre, balena e appunto «bianco».
Così dopo essere diventato il simbolo del terrore in mare per la sua abilità nell'uccidere, ora il grande squalo bianco, protagonista dei film di Spielberg, è a un passo dall'estinzione. Secondo uno studio dell'università di Stanford ne sono infatti rimasti meno di 3.500 esemplari, un numero inferiore anche a quello delle tigri. Gli squali sono animali estremamente vulnerabili, poiché hanno meccanismi di riproduzione delicati. Impiegano infatti diversi anni per raggiungere la maturità sessuale, hanno periodi di gestazione lunghi, che giungono fino a due anni e infine producono un numero di piccoli basso: talvolta anche un solo esemplare.

Condizioni normali per animali che non avendo nemici si troverebbero ben presto in un numero talmente elevato da alterare l'equilibrio naturale. Ma la natura non ha previsto la «variabile uomo» che, grazia alla moderna tecnologia, è diventato quel predatore che al pescecane mancava. Anzi, un predatore che lo sta portando sull'orlo dell'estinzione totale.

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