nostro inviato a Bruxelles
È un maxi-compromesso a traguardi intermedi quello che si va delineando in sede europea dove arrivano al pettine i nodi cruciali della risposta alla crisi economica e quelli del pacchetto energia-ambiente. Ancora in nottata gli uomini della presidenza francese, avvertiti da Sarkozy che vuole «un successo pieno» al termine del suo semestre di guida Ue, andavano pianificando ipotesi su ipotesi per ottenere un sì generalizzato. Ma è guerra nel rush finale, quando accanto agli impegni di ciascuno devono esser messe cifre di spesa. Lo stesso presidente francese lo sa bene - tanto da averlo messo nero su bianco nella lettera di invito fatta recapitare ad ogni capo di stato e di governo - che spetterà proprio a lui, nei due giorni del summit, trovare soluzioni accettabili sui due terreni, visti le obiezioni e financo le ostilità con cui qualcuno si avvicina al vertice. Del resto proprio Berlusconi, ieri sera, ammetteva che sì, si è vicini ad un accordo, ma che lui non esiterà «a porre un veto se dovessero essere lesi gli interessi del nostro Paese».
L'Italia è infatti ancora tra i Paesi che storcono il naso, come ha fatto capire ieri Franco Frattini che salirà nella capitale belga assieme a Berlusconi (il quale in mattinata sarà impegnato nel solito appuntamento del Ppe). Il ministro degli Esteri conviene che «passi avanti» sono stati fatti sul pacchetto energia-ambiente, specie per l'accordo sull'auto e con la clausola di revisione sulle fonti rinnovabili, messa in calendario per il 2014. «Ma la negoziabilità del resto - avverte - è una precondizione, perché non si possono immaginare parti non negoziabili. E dunque restiamo fermi su due obiettivi: garanzie al settore manifatturiero nazionale e flessibilità nella realizzazione dei grandi obiettivi di fondo del 2020».
In soldoni, Roma reclama maggiore protezione per alcuni comparti (vetro, ceramica, carta, parte della siderurgia) che rischiano di esser trasferiti in Paesi extracomunitari se si dovessero penalizzare troppo le loro emissioni inquinanti. E, ancora, chiede non solo di considerare come quota nazionale investimenti fatti all'estero (come l'eolico in Albania), ma anche di rimettersi al tavolo a ridefinire le cose, qualora nella conferenza di Copenhagen - autunno del prossimo anno - e cioè nella prevista Kyoto-2, Usa, Russia, Cina ed India dovessero decidere di non far nulla per la salvaguardia dell'ambiente. «A che servirebbe un impegno ecologico costoso europeo se poi si dovesse far fronte ad una concorrenza più agguerrita per non dover contenere le emissioni di Co2?» fanno notare alla Farnesina.
Al fianco dell'Italia, almeno in questi ultimi giorni, la Germania della Merkel che ha avvertito di non voler perdere un solo posto di lavoro per una scelta che, pure, era lei stessa ad avere imposto alla Ue l'anno scorso. Ma anche la Polonia e altri Stati dell'ex-blocco orientale alzano la voce. Chiedono contributi per la rinuncia al carbone. Partita non facile, ma che - da quel che si capisce - potrebbe veder confermata la linea del 20-20-20 con salvaguardie a tempo.
Così come, nonostante le riserve tedesche, potrebbe avere il via libera anche l'immissione sui mercati di 200 miliardi di euro (l'1,5 del Pil Ue) in barba al deficit del 3%, per rianimare l'economia. Barroso insiste su questa via e cita Obama come esempio. Ma qualcuno, l'Italia tra questi teme che i quattrini si possano trasformare in aiuti di Stato. Anche qui, potrebbe essere istituito un percorso a tappe. Da verificare di volta in volta. I vantaggi ci sono. Ma anche un rischio. Quello che, messo a punto il timer, si finisca con una esplosione.
Scarsa possibilità di mediazione, infine, per quei 5 miliardi di euro che Barroso vorrebbe togliere all'agricoltura che non ha presentato progetti di spesa (l'Italia è in testa alla classifica) e destinare al gasdotto sottomarino nel Baltico dalla Russia alla Germania. Almeno 5 Paesi sostengono a spada tratta questa soluzione. Almeno 6 (tra cui Roma) si oppongono con estrema decisione. E qui un rinvio pare difficile.
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