Berlino - Poverina, è un così bell’uomo. Non è dolce la sera per una ragazzina diciottenne a cui tutti dicono: sei un uomo? Come quel benzinaio di Città del Capo che le indicò la toilette “man” anziché quella con il disegnino “ladies”. E lei: «Vuoi che mi tiri giù i calzoni per vedere il mio sesso?». Caster Semenya ieri ha vinto il titolo mondiale degli 800 metri femminili, ha un fisicaccio da marine, voce da camionista, pettorali da sprinter bombato, capelli afro che arricchiscono la sorgente dei dubbi. Ma uno sguardo che non sa sorridere. Ha vinto, ha raccolto la bandiera, se l’è cinta intorno alle spalle, uno sguardo quasi perso, soltanto un piccolo bagliore di soddisfazione negli occhi. Chissà, forse lei (lui) sa già come finirà.
Elisa Cusma non ha fatto in tempo a finire la sua gara un po’ anonima, ma onesta, dietro a quelle da medaglia (sesta con il suo miglior tempo stagionale: 1’58”81), che l’ha crocefissa: «Quella è un uomo, ma non si può dirle niente. Anche l’anno scorso lo dicevano della Jelimo. Se le fanno correre lo stesso...». Vero, Casper corre in modo ben poco femminile, tira come un treno e le altre sempre dietro. Non è Bolt, ma potrebbe esserlo al femminile. Soprattutto è una persona di 18 anni, chissà con quali complessi. Il pubblico di Berlino l’ha capito ed ha fatto finta di niente. Semenya è sbucata quest’anno quasi dal nulla, imbattuta in nove gare, viene da Polokwane, ex Pieterburg.
Nessuno può dirle niente, ma tutti le dicono tutto. Perfino la federazione internazionale, fortemente imbarazzata per non aver indagato quand’era il tempo. Tanto che ieri, subito dopo la gara, l’ha fatta sparire dalla circolazione senza portarla alla conferenza stampa dei vincitori, forse per non farne sentire il timbro vocale. Ieri Nick Davies, il portavoce, è stato così esplicito da mettere il dubbio che ci sia qualcosa di più di un’inquietudine. «Aspettiamo l’esito di esami che le abbiamo fatto, anche se siamo fuori tempo massimo. Sono esami complessi, comprendono valutazioni fisiche e psicologiche, bisogna rispettare la privacy. Avremo risultati nel giro di alcune settimane e forse più». Ma intanto l’hanno fatta correre, tra tanti tormenti per tutti. «Perché nulla per ora le può impedire di gareggiare. Sarebbe un terribile errore vietarlo». Posizione ineccepibile, ma appunto tardiva.
Il mondo dell’atletica e dello sport spesso si è dovuto confrontare con questi casi: donne che sembrano uomini, raramente il contrario. Due anni fa Santhi Soundarjan, venticinquenne atleta indiana ai Giochi asiatici di Doha in Qatar, dovette restituire la medaglia d’argento degli 800 metri. Gli esami chiesti dalla Iaaf dimostrarono che era un uomo. E fu un dramma doppio perché Santhi veniva da una famiglia poverissima e quella medaglia le era valsa 3mila dollari e una televisione: dovette restituire tutto. Più antico e clamoroso fu il caso di Stella Walsh, ovvero Stanislava Walasiewicz, polacca americanizzata, che conquistò ori (Giochi 1932) e argenti (Berlino ’36), inanellò record mondiali (11) e venne scoperta maschio solo da morta, quando un’autopsia riscrisse la sua storia. Di recente Yvonne Buschbaum, tedesca saltatrice con l’asta, si è scoperta uomo in corpo di donna. Maria Mutola, la straordinaria mezzofondista del Mozambico, ha sempre lasciato dubbi e così la kenyana Pamela Jelimo. Ora l’ombra inseguirà anche Semenya.
Molto più di quanto lei riesca a distaccare le avversarie. Il suo allenatore ha proposto un’idea: «Guardatela sotto la doccia, capirete. Le sue compagne possono giudicare». Certo, giudicano un quadro. Non la sua anima.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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