È come se Berlusconi decidesse di lasciare il Milan, o Moratti l'Inter, o gli Agnelli la Juve. In un certo senso, per il Veneto, è molto di più. La più nota e riverita famiglia trevigiana, titolare dell'epopea iniziata con il celebre slogan "United colours of Benetton", rompe l'incantesimo: dal 2012, più o meno trent'anni dopo, uscirà dal basket e dalla pallavolo, cioè da quei cosiddetti sport minori che con il loro tocco fatato erano diventati nobili e raffinati. Diciamo pure di tendenza. Il segnale - tutti l'hanno capito, a cominciare dal monumento Dino Meneghin - è molto sinistro: costi troppo alti, di questi tempi non è più il caso. E poco consola che il gruppo colorato confermi l'impegno nel rugby, il nuovo sport trendy, che prevede immancabili sconfitte e immancabili sorrisi al modico costo di dieci milioni l'anno, euro più, euro meno. Resta fortissimo il sentore di un crepuscolo dannatamente malinconico.
Gilberto e Luciano, i Fratelli Fantasia, avevano intuito ormai tanti anni fa che gli sport giovani e americaneggianti erano perfetti per promuovere la filosofia dei loro golfini. A partire dagli anni Ottanta, per la Marca Trevigiana si può parlare di nuovo rinascimento. L'idea che basket e pallavolo, assieme a rugby e formula 1, potessero fare da traino alle vendite, ma soprattutto da legame con il proprio territorio e la propria storia, si rivelò subito giusta. Erano gli anni di Briatore e del giovane Schumi sulle piste, ma anche dei grandi duelli con il basket e il volley metropolitani di Roma - patron Gardini - e di Milano - pianeta Mediolanum Berlusconi -. Tanti soldi, tante vittorie, tanta popolarità. Fino al record fenomenale per una piccola città, il tris di scudetti nel 2003: Treviso prima in basket, rugby e pallavolo. Come dimenticare. Benetton e le sue squadre che vincono, ma anche Benetton che semina tra i ragazzini dell'intera regione, Benetton che costruisce la stupenda città dello sport chiamata Ghirada. Tanta storia. Ma trent'anni dopo è il momento di mettere il punto.
Annunciando il distacco, Gilberto non nasconde il dispiacere: «Questo è un giorno triste, dopo 30 anni di vittorie, con 51 trofei (19 di basket e 32 di volley). Ma gli scenari sono cambiati: negli anni Ottanta il nostro ingresso nello sport aveva una valenza sociale, per dare lustro alla città e coinvolgere il territorio in qualcosa di importante. L'entusiasmo del pubblico e dell'ambiente era grandissimo. Ora non è più così. Sia sul piano dei risultati che su quello del tifo. Pensiamo ci sia bisogno d'altro. I nostri investimenti saranno diretti in altra direzione: potenzieremo l'attività legata al sociale, alle famiglie e ai giovani. Lasceremo il Palasport e la Ghirada a disposizione di Treviso. Da qui al 2012 speriamo ci sia qualche imprenditore della zona, magari un'azienda giovane come lo eravamo noi trent'anni fa, che possa prendere il nostro posto».
Tutte le belle storie hanno una fine. Questa non ha una fine né lieta, né brutta. Si porta dietro solo tanta nostalgia. Dice il governatore veneto Zaia: «I Benetton sono un valore della comunità, a cominciare da ciò che hanno costruito con i vivai. Non sono semplicemente delle partite Iva, ma il simbolo stesso del legame tra sport e territorio, autentici produttori di uno sportsystem riconosciuto in tutto il mondo. Non riesco nemmeno a pensare lo sport veneto senza queste squadre. Spero solo ci ripensino…».
Altamente improbabile, il ripensamento. Tutti percepiscono il senso vero dell'annuncio: non è uno sponsor qualsiasi che si stanca e cambia aria, o che piagnucola e ricatta per estorcere un po' di gratuito assistenzialismo. È una cultura particolare che getta la spugna, per sopraggiunta insopportabilità di costi e di costumi. Lo sport moderno ha poco di romantico e troppo di commerciale. La nuova generazione dei Benetton, da tempo, è orientata verso altre passioni. I vecchi non hanno più voglia, e certo nemmeno il fisico, per altre follie.
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