da New Delhi
Ha una voce fievole e tremolante Taslima Nasreen mentre parla al telefonino dalla località segreta, nella periferia di New Delhi, in cui è stata confinata dalle minacce dei fondamentalisti islamici. La scrittrice femminista del Bangladesh, che ha fatto dellIndia la sua seconda patria, è stata costretta a lasciare la sua casa di Calcutta lo scorso novembre dopo le violente proteste dei gruppi estremisti musulmani. Come la tennista Sania Mirza e il pittore Husain anche lei è vittima dellintolleranza e del fanatismo religioso che si annida nella «minoranza» dei 120 milioni di musulmani. Ora vive sorvegliata a vista dalle forze di sicurezza, nellimbarazzo del governo che teme di scontentare gli islamici del Paese. In questa intervista a Il Giornale Taslima rivolge un appello disperato allopinione pubblica indiana perché convinca il governo a rinnovarle il visto e a lasciarla ritornare a Calcutta. E allo stesso tempo, attraverso un giornale italiano, chiede intercessione a Sonia Gandhi, litaliana che guida il partito del Congresso e che è la donna più potente della politica indiana.
Taslima, lei di recente è stata ricoverata in ospedale. Come va la sua salute?
«Sono stata ricoverata per quattro giorni, la pressione era salita moltissimo. Questa situazione mi ha molto provata psicologicamente e fisicamente. Diciamo che i medici mi hanno detto di non stressarmi...».
Vede qualcuno?
«No, chi mi protegge non me lo permette, ma posso ricevere telefonate. Se ho bisogno di qualcosa, loro me lo comprano. Vivo isolata, come unappestata e senza le mie cose a farmi compagnia. Quando ho lasciato la casa di Calcutta avevo con me solo il computer».
Si può dire che vive come in prigione?
«Ufficialmente non la chiamano così, ma di fatto lo è. Sono come arresti domiciliari, in una vita senza sole».
Ha paura di parlare?
«No, non ho mai avuto paura e non ne voglio avere. Ma queste minacce sono una tortura per me. E solo perché dico solo la verità».
I giornali scrivono che il governo le ha rinnovato il visto per altri sei mesi.
«Lunica cosa che so è che il mio visto scade il 17 febbraio e che non rimangono molti giorni».
Pensa che alla fine lo concederanno?
«Il governo me lo ha promesso. Il ministro degli Interni ha detto che è tradizione dellIndia garantire rifugio a chi è esiliato. Spero sia di parola».
E se non fosse possibile tornare a Calcutta?
«Calcutta è la mia casa, lì ci sono le mie radici. Non voglio tornare in Europa dove ho passato anni in esilio, come unestranea. È assurdo fuggire dalla propria vita solo perché cè chi non vuole che tu parli».
Perché non andrà a ritirare il premio Simone de Beauvoir a Parigi?
«Se vado via non mi fanno tornare più. Sarkozy si era detto disponibile a portarmi il riconoscimento quando è venuto a Delhi. Ma le autorità non lo hanno permesso».
Forse lo hanno fatto proprio per le minacce islamiche.
«Però il risultato è che hanno vinto loro. Bisognava prendere provvedimenti contro di loro, non contro di me».
È vero che ha eliminato alcune pagine del suo libro considerate offensive?
«Sono stata obbligata a tagliare quelle parti. Io sono contro la censura. Un conto è se taglio di mia volontà alcune frasi, un conto è se lo devo fare perché me lo ordinano. Ho chiesto: perché devo farlo in una democrazia laica come lIndia? Ma il governo mi ha risposto che lunico modo che avevo di restare a casa mia era non urtare i sentimenti altrui. Hanno fatto una pressione tremenda su di me e mi sono arresa. Ma evidentemente non è bastato».
Che può fare per lei lopinione pubblica internazionale?
«Per ora niente. In questo Paese ci sono molte persone che hanno simpatia per me ed è per questo che faccio appello al cuore degli indiani. Se la gente si mobilita, il governo si muoverà».
Ha fatto passi ufficiali? Cercato contatti a livello di governo?
«Ho scritto a Sonia Gandhi per chiedere la cittadinanza, so che è al corrente della mia situazione e so che è una donna laica, moderna.
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