Tato Russo, un «Dorian Gray» dal tocco pucciniano

Giovanni Antonucci

I musical che si rappresentano in Italia sono per lo più di importazione inglese e americana, benché da noi esista l'illustre tradizione della commedia musicale di Garinei e Giovannini. Tato Russo crede, invece, nel musical italiano, ispirato a opere letterarie. Dopo I promessi sposi di Manzoni, ha affrontato con lo stesso successo, tanto da approdare finalmente al Sistina, Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, bibbia del decadentismo. Ne ha tratto liberamente un musical, da lui stesso diretto e musicato insieme a Mario Ciervo. Un'operazione rischiosa la sua, a confronto con un testo complesso nel proporre modernamente il mito di Faust. Dorian Gray è convinto di poter conservare per sempre la sua straordinaria bellezza, che è stata raffigurata in un quadro del pittore Basil Hallward. Ma sarà proprio quel ritratto a rivelare la degradazione e i vizi di Dorian, diventato amico del luciferino Lord Henry, il suo Mefistofele. Alla fine Dorian trafigge il quadro con un pugnale, ma sarà anche lui a cadere trafitto. Se il libretto conserva, pur con qualche concessione allo spettacolo, una sostanziale fedeltà allo spirito di Wilde, le musiche, ricche di echi pucciniani ma anche assai moderne nella strumentazione, sono una carta vincente dell'operazione. Lo spettacolo, che si avvale delle scene di Uberto Bertacca, dei costumi di Giusi Giustino e delle coreografie di Aurelio Gatti, tutti eccellenti, ha in Michel Altieri un Dorian Gray esemplare nel cogliere l'ambiguità del personaggio.

Irene Fargo canta con un'intensità inconsueta nei nostri musical, mentre Priscilla Owens è sorprendente nella sua interpretazione dell'ardua Casta Diva della Norma. Tato Russo impersona Lord Henry con un pizzico di ironia.

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