Al tavolo della pace l’amaro è Petrucci

Al tavolo della pace l’amaro è Petrucci

RomaFallimento, flop, sconfitta. I termini negativi si sprecano quando cala il sipario su un lungo (e inutile) tavolo della pace. Il tentativo del presidente del Coni Gianni Petrucci, che offre casa e mediazione per rasserenare il clima avvelenato del nostro calcio, naufraga miseramente di fronte al passato incombente e mai cancellato: le sentenze del 2006 su Calciopoli.
«Un tentativo non riuscito, le posizioni di Calciopoli sono ancora molto scottanti, blufferei se non dicessi che mi aspettavo un esito diverso...», le parole del numero uno dello sport italiano. Che rifiuta le parole fallimento o sconfitta, tenta di nascondere il dispiacere con un sorriso e con la frase: «Sono a posto con la coscienza, la buona volontà non è stata premiata». Sottolineando però che «ci penserò molto bene prima di fare altre riunioni, anche se non vorrei ce la metterò tutta. Ora non si dica che sono caduto in un "trappolone" del mondo del calcio».
Trappolone o no (l’idea del tavolo nacque da Andrea Agnelli il 16 novembre scorso e fu sposata da Petrucci, che ha poi scelto i «commensali» e ha svolto presumibilmente un lavoro diplomatico nei giorni di avvicinamento all’incontro, ndr), la sensazione è che qualcuno nel corso della riunione avrebbe fatto saltare il banco. La disposizione del tavolo (Moratti da una parte, Agnelli e Della Valle dall’altra, gli altri rappresentanti di club erano Galliani e De Laurentiis) fotografava una situazione più che conosciuta. Lo scafato presidente del Coni, meritevole dell’impresa di aver messo attorno a un tavolo i vertici di Juve, Inter, Milan, Fiorentina e Napoli insieme al segretario generale del Coni Pagnozzi, al presidente Figc Abete e al dg Valentini («nessuno ci credeva»), ha dato la parola a tutti nelle 4 ore e mezzo di confronto pacato e ciascuno degli interlocutori ha messo sul piatto le proprie idee. Scelta democratica, che ha operato una sorta di disgelo tra chi non si parlava da mesi o non si chiamava più per nome (vedi Agnelli e Moratti).
Ma senza seguito sarebbe alla fine rimasta la stesura di un documento per chiudere con il passato e voltare pagina. Con un passaggio importante, nel quale di fatto Coni e Figc avrebbero riconosciuto, a proposito della celerità delle sentenze 2006, l’onda emotiva travolgente e una frettolosità del momento legata anche alla pressione dell’Uefa per avere una classifica e iscrivere così le squadre italiane alla Champions. Qualcuno (sembra Della Valle) avrebbe contestato la forma più che la sostanza di tale documento, chiedendo che il testo fosse comprensibile anche per i tifosi e non stilato in «politichese». A quel punto, niente accordo nemmeno sulla sostanza. «Siamo rimasti tutti civilmente sulle nostre posizioni chiare, precise e coerenti, noi siamo disposti a discutere di tutto ma prima continueremo la battaglia finché non saranno riconosciute le nostre ragioni», la linea del patron della Fiorentina, che rompe il patto del silenzio dei suoi colleghi e arrabbiato (bersagli il commissario Figc di allora Guido Rossi e il presidente Abete) per quella condanna di primo grado nel processo di Napoli.
Dunque se l’intento era quello di scrivere nuove regole e cancellare il passato, dire stop a polemiche e al «doping legale» (Petrucci dixit), pensare a un domani non più costruito solo sui diritti tv e rendere magari presentabile il movimento agli occhi del nuovo governo, la mission del numero uno del Coni è fallita.
«C’è stato grande rispetto ma è rimasto il conflitto, le posizioni sono sedimentate», così il presidente della Federcalcio, Giancarlo Abete. Si racconta anche di un siparietto Moratti-Galliani. «Nessun passo indietro, non sai quanti scudetti mi hanno rubato» avrebbe detto il patron nerazzuro. «Non dirlo a me...» la risposta dell’ad del Milan. Comunque, la Juve andrà probabilmente avanti con la sua battaglia legale al Tar (e richiesta di 443 milioni di euro). «Il club bianconero tutela i propri interessi, Coni e Figc tutelano le proprie regole», ricorda Petrucci. «Il rapporto con Andrea Agnelli è sereno e trasparente, con lui ho parlato a lungo anche durante e dopo il tavolo - sottolinea Abete -.

Di fronte al Tar noi faremo la nostra parte, contestandolo in maniera civile sulla base delle nostre argomentazioni». Il nuovo passo toccherà ora a gennaio alla commissione dei 7 saggi, istituita dal Coni per capire come difendersi dai continui ricorsi alla giustizia ordinaria. Ma il calcio non vuole ancora girare pagina.

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