Nel momento in cui cade Romano Prodi e si avvia, salvo improbabile sorprese, nel dimenticatoio della storia, occorre domandarsi come è potuto accadere che «l'uomo senza qualità» sia restato per tanto tempo il leader della sinistra, e per ben due volte abbia fatto il presidente del consiglio. Difficile sarebbe la risposta se non si risalisse all'origine dell'ascesa del professore, che vent'anni fa era solo un tecnocrate della sinistra democristiana, messo a guardia del potere dell'Iri, uno dei grandi baracconi delle Partecipazioni Statali.
Fu per volontà dei comunisti, o postcomunisti, che Prodi trasmigrò dalla tecnocrazia partitica alla politica, anzi ai vertici della politica, Fedeli alla tradizione dell'occultamento, i Democratici di sinistra guidati da D'Alema puntarono sul professore emiliano perché la coalizione di sinistra sembrasse meno rossa. La scelta rispondeva alla logica comunista di utilizzare personalità deboli e controllabili: Prodi non aveva dietro di sé alcuna forza politica, proveniva dal mondo parastatale, era cattolico, ed aveva scheletri nell'armadio.
Sì, perché gli scheletri fanno sempre comodo quando si tratta di pilotare quelli che si considerano «utili idioti»: Prodi, durante le presidenze Iri, aveva contribuito a insabbiare i Fondi neri, una specie di tangentopoli ante litteram, e per di più portava con sé la macchia irrisolta dello spiritismo sul caso Moro.
Per questo nel 1996 fu prescelto dai Democratici di sinistra che pensavano di tenerlo sotto scacco come personaggio debole e vulnerabile, tanto che, dopo poco tempo, D'Alema se ne liberò prendendo il suo posto a Palazzo Chigi. La stessa vicenda si è ripetuta nel 2006 con lo stesso sciagurato risultato che oggi è sotto gli occhi di tutti. Con la differenza che oggi i burattinai della sinistra devono fare i conti con un personaggio che, nel frattempo, da strumentalizzato si è fatto strumentalizzatore.
In questi mesi Prodi ha rivelato di quanto vuoto politico sia colmo il pieno del suo attaccamento al potere. Si è occupato solo di mediare tra tutto e tutti, senza prendere decisioni sui problemi importanti. Ha cercato di tenere in pugno i massimalisti della sua coalizione che, a loro volta, lo hanno ingabbiato. Si è opposto perfino al rinnovamento tentato dai veltroniani con il Partito democratico che si sta già avviando al fallimento con le diatribe tra correnti. Con l'ostinazione che ormai lo connota di fronte al mondo, Prodi ha portato l'Italia e gli italiani su un piano inclinato. Ha utilizzato il denaro prelevato dalle nostre tasche - il cosiddetto «tesoretto» - per tacitare le richieste di questo o quel gruppo della coalizione governativa. Ha costruito la sua forza senza politica occupando tutte le possibili posizioni di potere; ed ancora oggi vorrebbe resistere per controllare le centinaia di poltrone che devono essere rinnovate nei più importanti enti economici pubblici, Eni, Enel, Poste, Rai e via elencando.
Di tal fatta è l'uomo che in queste ore sta offrendo un'incredibile manifestazione di interesse personale che non ha nulla a che fare con la politica, neppure con la politica della sua parte.
Questo è l'uomo che, dopo essere stato criticato alla Comunità a Bruxelles, è ora sbeffeggiato dalla stampa internazionale per non sapere affrontare i mali dell'Italia, Questo è l'uomo che antepone il suo «particulare», la sua carriera, i suoi interessi di potere al bene dell'Italia. Per tutto ciò, in questo grave momento, c'è almeno da essere sollevati che l'era Prodi è finita.m.teodori@mclink.it
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