IL TECOPPA DI VIA SOLFERINO

Paolo Mieli, di questi tempi, fa venire in mente Tecoppa, personaggio teatrale milanese famoso per la battuta: «Se vi muovete, come faccio a infilzarvi». Tutta l'estate il Corriere della Sera ci ha spiegato come fosse in atto un terribile complotto organizzato dai Fiorani, Consorte, Ricucci e altri. Come Antonio Fazio fosse l'anima nera dell'impresa. Come Ubaldo Livolsi, advisor di Gianpiero Fiorani, fosse la prova del collegamento di Silvio Berlusconi con la trama. Come Massimo D'Alema fosse il vero regista di tutte le mosse. E così via. Insomma, la descrizione ossessiva di un complotto.
Ora, con l'arrivo del freddo, invece, Ernesto Galli Della Loggia spiega che è da stupidi interpretare le vicende politiche ed economiche come complotti. E la potente corazzata di via Solferino comincia a raccogliere testimonianze le più diverse (in tempi di elezioni la visibilità che offre un grande giornale è merce preziosa) per spiegare che nei suoi comportamenti non c'è ombra di complotto.
Quel che dice Galli Della Loggia è sensato. E il Corriere avrebbe dovuto tenerlo presente nell'offrire un'interpretazione ragionevole dei casi di questi mesi: distinguendo tra megalomani pronti ad atti criminosi come Fiorani e altri finanzieri dai comportamenti spesso avventurosi ma non molto diversi da quelli che la stampa nazionale porta in palmo di mano. Le mire politiche di D'Alema, reali e poco trasparenti, poi, non sono integrabili con disegni che hanno logiche autonome. Le posizioni di Fazio, spesso gravemente sbagliate, rispondono a motivazioni da tempo sostenute dal Governatore. E in altre stagioni applaudite. Gli advisor si muovono per loro interessi, ed è azzardato derivare dalle loro iniziative il sostegno di chi ha rapporti con loro. Tutta la partita Ricucci-Fiorani-Gnutti vede aggirarsi raider e finanzieri con legami intimi con Carlo De Benedetti o Giovanni Bazoli. Manipolare il senso di queste relazioni complesse (e naturali) significa cadere nella mania complottista.
Comunque, ora il Corriere spiega, dopo avere rifilato la descritta overdose di tramismo, che qualsiasi critica gli venga rivolta, vada catalogata come cretinismo complottista. Certamente avrebbe ragione se si sostenesse che Mieli con la Regina d'Inghilterra e la Yakuza giapponese, vuole mettere le mani sull'Italia. Ma non è questo quello di cui si discute, per esempio, su questo giornale. Qui si prende atto che il direttore del Corriere si è esplicitamente presentato come uomo di equilibrio tra gruppi economico-finanziari e che ha pubblicamente spiegato come si debba puntare su un partito democratico depurato dalla tradizione postcomunista. Siamo di fronte a un giornalista che rivendica un ruolo sia da cassa di compensazione tra poteri economici sia da maieuta di un'operazione politica. Leggere la sua linea editoriale alla luce delle sue dichiarazioni, è atto di libera discussione pubblica. Altro che complottismo.
Quanto ai rapporti con la magistratura, che è il lato meno gradevole dell'iniziativa mielista, è utile considerare quel che un cronista giudiziario di punta del Corriere, Luigi Ferrarella, ha scritto su come incredibilmente le notizie sulla richiesta di comparizione di Berlusconi, presentata a novembre da pm milanesi, siano rimaste coperte sino a dicembre.

Una chiara ammissione del canale di collegamento (tranne nell'«incredibile» caso) tra Porta Vittoria e via Solferino. E, anche alla luce della vicenda Fazio, si dovrebbe riflettere meglio su quanto i rapporti tra politica e poteri neutri siano più complicati di quello che spiegano gli apologeti dei pm all'italiana.

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