Il tennis ha ritrovato Nadal ma sembra suo fratello

Non tutti condividono la mia opinione ed è giusto così! Io, da sempre, sono una tifosa dichiarata di Nadal. Confesso che mi è piaciuto fin dalle prime apparizioni sul circuito. L’ho seguito quando otteneva i suoi primi successi, l’ho ammirato per il coraggio di imporre una personalità così diversa da quella di tanti altri giocatori moderni che sui campi da tennis si comportano come cloni. Super atleti che conoscono un solo modo per vincere, quello di lasciarsi pilotare da un coach, o meglio da un suggeritore che manovra i fili delle loro partite fino a renderli dipendenti.
Di Nadal ho apprezzato la straordinaria personalità al punto che, durante la premiazione al Foro Italico dopo la sua prima vittoria romana, gli ho chiesto di dedicarmi il gesto con il quale aveva accompagnato ogni punto vincente della sua partita. Un saltello seguito da una rotazione degna di El Cordobés! «Rafa» prima tentennò, poi sorridendo fece in modo di accontentarmi, trascinandosi dietro l’entusiasmo e l’ammirazione del pubblico! Di lui mi piaceva il piglio degno di un pugile con il quale si alzava dalla sedia per riprendere il posto sul campo.
Passarono due anni e io mi sbilanciai profetizzando una sua vittoria sull’erba di Wimbledon: se ce l’aveva fatta Borg ero certa che sarebbe stato perfino più facile per lo spagnolo. Nadal col tempo divenne intoccabile! Sempre più sicuro di sé, sempre più muscoloso. Impossibile immaginarlo sconfitto soprattutto sulla terra rossa! Poi, all’improvviso, a fermare l’inarrestabile corsa quest’anno arrivò Soderling, un vichingo uscito dal nulla che riuscì addirittura ad umiliarlo sul centrale di Parigi! Con grande dignità e senza scuse Nadal incassò il più brutto ko della carriera. Qualche tempo dopo rese pubblico il problema alle ginocchia e anche il suo personale disagio per la separazione dei genitori, un problema però che non ha mai voluto utilizzare come alibi: «La vita è così, non ci posso fare nulla. Ma col tennis non c’entra».
Il resto della storia la conosciamo tutti. Una lunga degenza per curare cartilagini e tendini molto provati. Due mesi lontano dai campi e finalmente il ritorno. Con ansia da tifosa ho seguito il nuovo approccio di Nadal al suo sport ed è stata una brutta delusione. Così, guardandolo con attenzione, ho finito per convincermi che a scendere in campo a Toronto non sia stato lui ma suo fratello minore. Un ragazzo molto meno determinato che, oltre ad aver perso muscoli e forza, ha smarrito la rabbia per affermarsi, d’altronde sugli spalti nessuno ha più visto neppure il suo coach, il celebre calciatore: lo zio Toni! Quante immagini strane mi sono balzate per la testa l’altra notte durante il match tra Nadal e Djokovic. Mi è venuto in mente Sansone appena uscito dal barbiere e la vulnerabilità di Achille estesa ben oltre il tallone. Il tutto mentre telecronisti di ogni lingua e Paese erano impegnati a spiegare agli ascoltatori quanto fosse forte Djokovic. E giù percentuali mostruose di prime palle di servizio e di colpi vincenti da parte dell’avversario di Nadal.

Numeri molto simili a quelli della finale giocata dai due campioni quest’anno a Roma, dove l’abilità di Djokovic riuscì ad avvicinarlo all’illustre rivale ma non a batterlo.
Chiedo scusa al lettore se la mia stima per Nadal mi ha spinta ad immaginare la sostituzione con un sosia. Vedendolo così trasformato è stata l’unica accettabile giustificazione.

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