«Le tensioni ci sono Primaria la sicurezza»

Quella della Norvegia è una posizione delicata, forse sottovalutata in Europa e nella Nato. È una potenza petrolifera, un «emirato democratico» del Grande Nord e non rinuncia ad assegnare nuove licenze di sfruttamento nel mare di Barents, con l'obiettivo di aumentare le esportazioni; inoltre, con il suo tradizionale pragmatismo, ha deciso d'investire strategicamente ed economicamente nella travolgente trasformazione geopolitica dell'Artico, soprattutto per presidiare interessi e risorse di fronte all'impressionante rafforzamento militare russo, proprio a ridosso dei suoi confini terrestri e marittimi. Una nazione determinata ad affermare il proprio diritto allo sviluppo, ma contemporaneamente esposta a crescenti minacce per la sicurezza. Mai come quest'anno, alla conferenza internazionale Arctic Frontiers di Tromsø, il più importante forum dell'emisfero settentrionale, la «questione russa» è stata centrale, e mai come quest'anno la cosiddetta «eccezione artica», cioè lo spirito di cooperazione tra le nazioni dell'High North, solitamente esibito con orgoglio dagli speakers, è parso un mantra ostentato quasi per scaramanzia. Ovvio che a calamitare l'attenzione sia stata la brillante ministra degli Esteri del nuovo governo conservatore, Ine Eriksen Søreide, già ministro della Difesa, e quindi figura chiave della delicata dottrina norvegese.

«Il nostro obbiettivo è la stabilità», ci ha detto, «ma non siamo così naïve da ignorare i crescenti pericoli. Lo strumento cruciale per mantenere la stabilità resta il Consiglio artico, non a caso è stato candidato al Premio Nobel per la Pace». Infatti in pochi anni il Consiglio artico (cui partecipano di diritto Usa, Canada, Norvegia, Danimarca, Russia oltre che Svezia, Finlandia e Islanda e vari Paesi osservatori come la Cina, ma anche l'Italia) da una specie di club degli scacchi per diplomatici scandinavi in pensione è diventato un organismo governato al massimo livello, spesso di ministri degli Esteri. Il suo potere in caso di crisi seria rimane tuttavia assai limitato. «Le tensioni ci sono, è innegabile. Bisogna essere vigili e investire nella sicurezza», dice con cauta determinazione la signora Eriksen Søreide, che non nomina mai la Russia. «Seguiamo ogni sviluppo, politico e militare, e lo facciamo in collaborazione con chi ha lo stesso interesse alla stabilità». Non a caso alla conferenza hanno partecipato rappresentanti di Paesi che artici non sono, come l'Estonia, ma che condividono storicamente le stesse preoccupazioni rispetto alla militarizzazione russa oltreconfine. «Ci sono molti punti in comune tra l'Artico europeo e il Baltico europeo», conferma la ministra, secondo cui se qualcosa accade nel Baltico molto probabilmente verrebbe subito «esportato» nel Nord, visto che la penisola di Kola è diventata una grande base nucleare: «Attualmente abbiamo la più grande concentrazione militare sull'uscio di casa».

L'impressione che si ricava parlando con esponenti del governo norvegese è che i pericoli vengano sottovalutati soprattutto dai partner Nato, Stati Uniti in primis. «Non siamo in guerra con la Russia», dice un alto funzionario, «e da mille anni non abbiamo dispute di confine con loro, ma dopo l'Ucraina per noi tutto è cambiato, hanno riacquistato confidenza con l'uso delle armi per riaffermare status politico.

E poi stanno sviluppando nuove capacità militari. Se la Nato abbassa la guardia, se si lasciano dei vuoti, loro li occuperanno. Non è un caso che la serie tv dove s'immagina l'invasione russa della Norvegia, abbia avuto tanto successo».

Marzio G. Mian

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