Il terrorismo islamico devasta New Delhi: 4 attentati, 65 morti

Tre ordigni sono esplosi tra negozi e mercati affollati, il quarto attacco sventato. Dieci arresti: si sospetta siano estremisti pachistani

Maria Grazia Coggiola

È tornata la stagione delle bombe a New Delhi, come nel 1997, quando gli integralisti islamici pachistani seminarono il terrore tra la gente vestita a festa per il Diwali, il giorno sacro agli induisti, che per festeggiare Lakshmi, la dea della ricchezza, accendono lumini davanti a casa e fanno scoppiare botti e mortaretti. Anche ieri pomeriggio c’era aria di festa a Paharganj e a Sarojini Nagar. C’erano le signore con sari luccicanti e i gioielli delle grandi occasioni, bambini con gli occhi spalancati davanti agli elaborati e stravaganti botti, e giovani con l’ultimo modello di telefonino, simbolo di un’India che sta cambiando. Pahar Ganj è il mercatino degli hippies, dietro la stazione principale, dove ci sono le pensioncine da 100 rupie a notte (poco più di due euro) e dove si trova di tutto, dall’incenso profumato al legno di sandalo alla marijuana. Sarojini Nagar, invece, è nella parte «nuova» di Delhi, a sud, vicino all’area diplomatica, ed è il bazar dei vestiti di marca contraffatti, frequentato dalla borghesia indiana, ma anche da molti stranieri residenti. Il sabato pomeriggio la calca è così fitta che non si riesce neppure a camminare tra i negozi da una parte e le bancarelle dall’altra.
L’inferno si è scatenato in poco più di mezz’ora, quando quattro attentati hanno dilaniato i corpi di 65 persone fino al punto da renderli irriconoscibili. I feriti sono oltre 150. New Delhi non aveva mai vissuto un orrore del genere. La televisione indiana ha mostrato per ore le stesse scene, con gli investigatori che raccoglievano brandelli di carne sull’asfalto sporco di sangue.
Fino a ieri sera la dinamica non era ancora chiara. Si sa che gli attentati andati a segno sono stati tre. La prima bomba, su una motocicletta davanti a una gioielleria di Paharganj, è esplosa alle 5.35. La seconda, meno potente, dopo mezz’ora, alla stazione dei bus del quartiere di Govindpuri. La terza, pochi minuti dopo, al mercato di Sarojini Nagar. Un quarto attacco esplosivo sarebbe stato sventato. Un ordigno era stato piazzato davanti alla banca di Bikaner, vicino a Chandni Chowk, il bazaar che sorge davanti al celebre Forte Rosso. Una guardia di sicurezza, insospettita, ha dato l’allarme. Il primo ministro Manmohan Singh, dopo aver invitato la popolazione alla calma, ha detto che «l’India vincerà la battaglia contro il terrorismo». Anche la leader del partito di maggioranza del Congresso, Sonia Gandhi, ha parlato ai giornalisti di «minaccia globale del terrorismo a cui il Paese risponderà unito».
Dieci gli arresti, tre davanti alla stazione dei bus, sette in altre operazioni. Ma il governo indiano punta il dito in particolare contro i «soliti noti» della Lashkar-e-Taiba (L’esercito dei Puri), un gruppo estremista pachistano, che forse ha legami con Al Qaida e che è sospettato dei più sanguinosi attentati in India. Alcuni militanti della Lashkar sono stati condannati a morte perché ritenuti responsabili del grave attacco al Parlamento nazionale di New Delhi nel dicembre del 2001, che scatenò l’escalation militare tra India e Pakistan. Dal gennaio 2004 tra i due Paesi rivali si è avviato un lento ma concreto disgelo grazie a una serie di misure di distensione, tra cui un telefono rosso tra i comandi militari, la ripresa delle partite di cricket e nuovi collegamenti stradali e ferroviari. La promessa del presidente pachistano Pervez Musharraf di fermare l’infiltrazione di elementi della jihad oltre il confine era stata il presupposto dell’avvio del dialogo.
Ora questo attentato potrebbe rimettere tutto in discussione. Da ieri sera la capitale e anche il confine con il Pakistan, in Punjab e nel Kashmir indiano, sono in stato di allerta.

Tra l’altro proprio ieri a Islamabad erano iniziati i colloqui tra due delegazioni ministeriali sulla proposta lanciata da Musharraf di aprire alcuni punti di collegamento tra i due Kashmir divisi, per facilitare i soccorsi alle vittime del sisma che ha devastato l’intera regione himalayana lo scorso 8 ottobre e che sta impegnando entrambi gli eserciti schierati sul confine in una massiccia operazione umanitaria.

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