Il tocco magico della badante ucraina

di Luca Doninelli
Dopo una moldova, una boliviana, una filippina, una marocchina di Agadir e una di Fez, la vecchia maestra Francesca Salvioni, di anni ottantanove, domiciliata al piano sopra il mio, adesso ha una badante ucraina di nome Svetlana.
Per fortuna alle elementari ero nella B, perché se ero nella C mi toccava la Salvioni. Alla «Don Tazzoli» era il terrore di tutti: ragazzi, insegnanti e direttrice, la compianta dott.ssa Maria Paola Zanetta Belleri.
«Sei fortunato a non essere finito sotto le mie grinfie» mi dice ancora adesso. «Quanto fa sette per otto?»
«Cinquantasei».
«Mmh».
Lei sostiene che esistono molti cinquantenni, vuoi pure ottimi professionisti, e commercialisti perfino!, che il sette per otto non l’hanno ancora digerito. E numera, con le dita, le vere grandi difficoltà della scuola di ogni ordine e grado, tra le altre l’uso del congiuntivo, la seconda guerra punica e, appunto, sette per otto.
Dopo aver portato all’esaurimento, alla depressione e alla soglia del suicidio le precedenti badanti, adesso la maestra Salvioni, grazie alle suore Orsoline, ne ha trovato una nuova, di cui dice meraviglie. Ucraina.
La Svetlana è un donnone più prossimo ai sessanta che ai cinquanta, un metro e ottanta, fisico da granatiere, ex guardia carceraria a Kiev.
«Di una delicatezza, ma di una delicatezza...».
Non c’è virtù cardinale o teologale, opera di misericordia corporale e spirituale che la Svetlana non pratichi. L’unica cosa che non pratica è il sorriso.
«Un animo di una sensibilitààààà...».
Intanto però a pulire la cucina, a fare la spesa, a rifare i letti, a dare una sistematina al bagno, a rifar le camere ci pensa un’altra persona: la Rina Moneghin, da Domegliara, nata a Trebaseleghe, che si lamenta per la paga, di parecchio sotto il minimo sindacale.
Oggi abbiamo fatto il lesso. Quando c’è il lesso la sig.ra maestra Salvioni si affaccia dal balcone e fa:
«Mmm! Qualcuno ha fatto il bollito?».
E bisogna che qualcuno le risponda.
Lei fa le sue indagini.
«Ma c’è anche il biancostato?».
«Ma certo».
«E la gallina?».
«Come no».
«Anche le sgraffe?».
«S’intende».
«E ehm... insieme cosa ci mette? La salsa verde e poi... e poi...?».
«... la maionese, la mostarda, la salsa al curry...».
«No, la salsa al curry non la voglio. Mi basta un pezzettino di manzo, magari una sgraffettina, se c'è anche il culo del pollo, e le salsine, non più di un cucchiaino ciascheduna, ma niente curry».
Lei non chiede. Ordina. Mia moglie mette in una scodella le cose che la vecchia ha ordinato e mi incarica di portargliele. Mi apre lei in persona.
«Ringrazia tanto tua moglie». Io sbircio dietro le sue spalle sperando di incrociare la Svetlana, invece continuo a vedere la Rina che va e che viene, prima con l’aspirapolvere, poi con l’annaffiatoio, poi con un posacenere pieno, poi ancora con l’aspirapolvere.
«La Sveti non gradisce la carne. Vero Sveti?», grida all’indirizzo di qualcuno che sta di là.
«Svetlana è stanca. A mezzogiorno gradisce del tè con i biscotti, al massimo una spremuta, di pompelmo».
Una mazurka di Chopin invade piacevolmente l’aria.
«Accompagnami in cucina che facciamo il tè per la Svetlana».
Ma la Svetlana dov’è?
La vecchia apre un’anta, si abbassa a cercare, prende un pentolino, lo riempie d’acqua e lo mette sul fuoco. Poi fa scendere dell’acqua calda e riempie e svuota più volte una teiera, tra i fumi.
Infine apre un mobiletto più alto e tira fuori una scatola piena di varietà diverse di tè, dai soliti earl gray, english breakfast e darjeeling fino al tè verde, quello nero e quello rosso. I biscotti sono dentro una scatola rossa di latta sulla credenza con su scritto «dal 1859».
Intanto l’acqua bolle, mentre la mazurka si è trasformata in una berceuse e poi in un grande valzer brillante.
Dopo anni di devozione alla lirica, che in una mezzanotte di luglio dalle sue finestre poteva salire ad altezza-Sputnik, adesso la Salvioni è passata a Chopin.
Le zollette di zucchero, il bricchetto con il latte, la tazza, la teiera, il cucchiaino, oltre naturalmente ai biscotti. Il tutto su un vassoio di silver plate, che la vecchia Salvioni solleva con delicatezza avviandosi verso il salone.
E nel salone cosa vedo? Vedo la guardia carceraria di Kiev seduta autorevolmente al pianoforte a coda, e lo percuote con mani potenti ma, devo ammettere, abbastanza abili.
Dunque non era un disco: era la katiuscia, la matrioska, la kalashnikova.
Apprezzo un passaggio difficile di un preludio, ben risolto. La musica evoca immagini. Distinguo la luna tra la bruma e la nuvolaglia di passaggio. E la vegetazione rinsecchita dell’inverno mitteleuropeo, o transilvano.
«Il tuo tè, Sveti. Dove devo metterlo?», dice la vecchia, in tono deferente. Il donnone, senza staccare le mani dalla tastiera, fa segno con la testa di posarlo lì accanto, sul piano, vicino al posacenere.
Ecco dunque svelato il segreto di Svetlana la badante ucraina, che non fa niente dalla mattina alla sera se non fumare, leggere il giornale, suonare il pianoforte e dare ordini alla vecchia. Che con lei è tornata giovane, e invece di fare la capricciosa obbedisce volentieri. Ma i lavori pesanti, quelli toccano alla Rina da Domegliara, nata a Trebaseleghe, otto euro all'ora senza contributi.
E come trotta, la maestra. Ma con le altre badanti non aveva la sciatica e la flebite? Non aveva il ginocchio che faceva cric? E l'anca ballerina? E adesso guardala, la signora sette-per-otto: una cerbiattina.
Le altre sgobbavano diciotto ore al giorno per guadagnarsi rampogne e insulti, questa qui fuma e suona il piano ma è quella giusta, lo vedi come va il mondo? Deve avere scoperto il punto debole della vecchia: una cosa che non riuscì (su questo gli storici sono tutti concordi) nemmeno al povero marito della strega, il defunto cav. Bruno Brentegani, primo ispettore delle imposte, e non a Canicattì: a Brescia.
Da qualche giorno la maestra Salvioni va perfino dicendo che, se avesse dieci anni di meno, si cercherebbe un nuovo marito.
Tu sei una cretina, le risponde la Svetlana: fai come in mio paese, lì quando donna è depressa per causa di marito ubriacone oppure morto allora medico scrive bella ricetta dove ordina sesso, fa ricercare uomo disponibile a cura che viene pagato da contributo pubblico e dopo qualche settimana ti saluto Prozac.
«È successo anche a te, Sveti?».
«Tu vuole scherzare? Tutti chiamavano lui Pipeline».
Che vuol dire oleodotto.


E la vecchia giù a ridere, di gusto, con gli occhi che le brillano - cosa mai vista - di puro divertimento, in faccia a tutto quello che succederà di qui a poco, perché non va dimenticato che gli anni sono ottantanove.
Ci voleva un mastino ucraino per farle capire che anche il tramonto ha i suoi bei colori.

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