Tradì l’amico-cliente: sospeso l’avvocato Di Pietro

Tradì l’amico-cliente: sospeso l’avvocato Di Pietro

La storia, da mettere paura quanto a cinismo e freddezza, è quella di un’amicizia tradita, di un clamoroso voltafaccia nel contesto angosciante di un uxoricidio. Protagonista, manco a dirlo, è Antonio Di Pietro, a quel tempo avvocato (gli ex magistrati sono iscritti d’ufficio all’albo), compagno di infanzia di Pasqualino Cianci, accusato nel 2002 di aver ucciso la moglie Giuliana D’Ascenzo. Diremo subito che per questa storiaccia Antonio Di Pietro è stato sospeso dall’Ordine degli avvocati, con sentenza divenuta esecutiva pochi giorni fa (sospeso per tre mesi, fino al 15 ottobre), causa «violazione del codice deontologico» degli avvocati. Perché questa punizione? La scorrettezza di Di Pietro, riconosciuta dall’Ordine, risale a quel 2002. L’avvocato Tonino, una volta saputo del guaio in cui si era ficcato l’amico Pasqualino, si propose subito di prenderne le difese. Si mobilitò da Milano, ospitò addirittura l’amico in casa per diversi giorni, come un vero fratello, un compagno con cui aveva condiviso la giovinezza a Montenero di Bisaccia. Giusto il tempo però di informarsi, compiendo le rituali indagini difensive, e voltare la faccia all’amico (e cliente), passando dalla parte degli accusatori. Di Pietro si era convinto, grazie alle informazioni che aveva potuto recuperare nelle vesti di difensore, della debolezza della posizione di Cianci. A quel punto avrebbe potuto revocare il proprio incarico, lasciare la difesa a qualcun altro e sperare in un colpo di fortuna per l’amico finito in una così brutta situazione. Ma il bello - ed è questo il motivo della condanna da parte dell’Ordine degli avvocati di Bergamo, cui è iscritto Di Pietro - è che una volta convintosi che Cianci era spacciato, Tonino non si limita a declinare la difesa, ma passa proprio dall’altra parte, come parte civile che sostiene l’accusa. Di Pietro anzi gioca un ruolo determinante nell’accusa, suggerisce ai magistrati alcune piste per inchiodare il suo ex amico, chiede di acquisire documenti specifici che si trovavano nell’abitazione della defunta e di Pasqualino Cianci. Si convince che «c’è dell’altro che bolle in pentola» come scriverà poi in una imbarazzata lettera ai figli di Pasqualino Cianci. Di Pietro ha notizia di «operazioni economiche internazionali poste in essere da vostro padre», e suggerisce all’accusa di indagare presso certi istituti di credito. Veste i panni di avvocato, come ora quelli di politico, ma ragiona ancora come un pm.
L’opera di Di Pietro si compie poco tempo dopo: il 16 aprile 2002 l’ex amico Cianci viene arrestato e poi, in primo grado, condannato a 21 anni per uxoricidio. Cianci non ha mai perdonato a Di Pietro quel voltafaccia. Una questione di coscienza, ma anche di deontologia. C’è un articolo del codice degli avvocati che vieta «l’assunzione di incarico nei confronti di ex clienti».

All’ex avvocato e pm, il presidente e il segretario dell’Ordine di Bergamo contestano non poco, «la violazione di doveri di lealtà, correttezza e fedeltà» nei confronti della parte assistita. Non male per un campione di rettitudine.

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