nostro inviato a Cernobbio (Como)
Quel Giulio Tremonti che gigioneggiava ieri sornione in mezzo al fancazzismo annoiato dei cronisti accampati a Villa d’Este, nel forzoso solarium in riva al lago per l’annuale appuntamento con il Workshop Ambrosetti, non aveva proprio nulla del presunto Giuda sognato e vagheggiato in copertina sull’ultimo numero dell’Espresso. Giuda di Silvio Berlusconi, ovviamente, auspicava e conseguentemente arzigogolava il settimanale debenedettiano.
E invece no, appunto. Dal ministro nemmeno una parola che potesse accostare l’attuale Giulio da Sondrio a quell’antico e shakespeariano Antonio de Roma che, con la scusa dell’eloquenza, si cimentava «a seppellire Cesare, non a lodarlo (atto terzo, scena seconda, ndr)». Men che meno sarebbe percorribile una qualsivoglia analogia con Bruto, lui quoque, con il pugnale ancora insanguinato.
Anzi. «I Paesi restano, i governi passano, meno il governo Berlusconi che resta», ha scandito a chiare lettere in riva al Lario il ministro dell’Economia, capo dei congiurati almeno agli occhi di una sinistra che ormai soltanto in una congiura può sperare. Al punto che l’Espresso si è cimentato a definirlo così: «Sfuggente e inafferrabile, imperscrutabile nelle intenzioni e nelle ambizioni. Libertino e colbertiano, uomo dell’establishment e popolano, paura e speranza. Il primo dei tecnici e l’ultimo degli ideologi». «Cribbio!», avrà commentato tutto quel popò di roba il premier. E invece non bastava, perché il settimanale ha proseguito così, parlando ancora di Tremonti: «In bilico tra la fedeltà ostentata a Berlusconi e il rischio di finire lui, il più longevo tra i ministri berlusconiani, in testa alla lista dei potenziali traditori».
Ottimo l’italiano, ci mancherebbe. Ben più deboli le prospettive politiche sunteggiate dal settimanale. Che seguendo i propri pensieri se ne è evidentemente andato lì dove lo portava il cuore. Ovvero, nell’ordine, un Tremonti che muoverebbe le sue pedine con l’appoggio della Lega, tesserebbe una sua tela addirittura con il Pd «per proporsi come garante della stabilità» e infine - udite, udite - starebbe «pensando a Palazzo Chigi e al Quirinale… Al punto che Berlusconi teme che il ministro lo possa scalzare».
Dormirà invece sonni tranquilli, il Cavaliere - posto che ne abbia avuti di inquieti - scorrendo le agenzie di stampa in arrivo ieri da Cernobbio. Ma anche dopo aver letto l’intervista fiume che Tremonti aveva concesso al vicedirettore di Repubblica, Massimo Giannini. Dal fiume in piena delle agenzie, che ieri è stato con tutta probabilità il primo tributario del lago comasco, emerge chiaro il fatto che un Tremonti inzigato dai giornalisti abbia subito sgombrato il campo dagli equivoci. Dicendo: «Se la vostra domanda è “un patto con l’opposizione?”, la mia risposta sarà che questa “deve essere propositiva e costruttiva”, nel senso che più sono le idee e le proposte e meglio è. Sta poi ai governi - ha chiosato spegnendo molti entusiasmi - il dovere di trovare la sintesi». Altri entusiasmi ne avrebbe peraltro spenti poco più tardi ribadendo «io non ho titolo per aprire all’opposizione», inequivoca attribuzione a Cesare quel che è di Cesare. O più correttamente a Silvio quel che è di Silvio.
Ma neppure nell’intervista fiume concessa a Repubblica, due pagine fitte fitte, si può trovare traccia di una sola parola - nemmeno un fiato, in verità - circa temi che non siano quelli stretti dell’economia. Su tutti, l’ottimismo ribadito anche a Cernobbio sul fatto che «l’emergenza è finita» e che perdipiù «non c’é bisogno di una manovra in autunno, mentre ci sarà la finanziaria che conterrà la manovra in tre tabelle», anche grazie ai «buoni numeri sulle entrate fiscali». Nulla, invece, da parte del ministro, in merito alle tormentate vicende - Fini, la casa di Montecarlo, la famiglia allargata - che hanno infiammato l’estate 2010 e lacerato la maggioranza. Non c’è stato pane da inzuppare.
Eppure la sinistra, anche ieri, ha dimostrato di non capire o quantomeno di essere confusa. Perché se con Enrico Letta ha accolto le aperture di Tremonti come «una boccata d’ossigeno in un momento asfittico della politica italiana», ha espresso poi l’esatto contrario con il segretario del Prc/Federazione della Sinistra, Paolo Ferrero. «Quella è una polpetta avvelenata», ha detto cupamente Ferrero.
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