Il tribuno Sarkò: «Ridarò la parola al popolo»

Il tribuno Sarkò: «Ridarò la parola al popolo»

In tv un candidato di responsabilità, che «vuole ridare la parola al popolo», attento ai problemi del lavoro e della disoccupazione, che punta su «una Francia forte», che vuole ridare voce alla gente e che da «capitano» si sente in dovere di non abbandonare la nave «in piena tempesta». In privato un presidente coi guantoni, pronto a difendere con le unghie e coi denti la poltrona, per impedire che la Francia finisca in mano «ai nobilastri e ai radical chic». Sono le due facce di Sarkozy nel giorno in cui il presidente rompe gli indugi e annuncia quello che non aveva ancora deciso di annunciare ma che era stra-annunciato: la sua candidatura per riconquistare la poltrona ai vertici della Repubblica francese. «Semplice e diretto»: così i consiglieri hanno voluto che il capo dello Stato si presentasse in tv. E così è andata ieri sera, tutto come previsto davanti alle telecamere di Tf1. Tutto un altro Sarkozy rispetto a quello off the record - citato dal solito informato e indiscreto settimanale satirico Le Canard Enchainé, che ha riportato ieri il virgolettato di un fuori onda del presidente, più Rocky Balboa che statista moderato: «Sono gasatissimo», «Hollande non lo lascerò respirare. Non capirà ciò che gli succede. Lo farò a pezzettini».
A dieci settimane dal primo turno delle presidenziali (22 aprile) si scalda il clima elettorale in Francia. Sarkozy insiste sulla congiuntura negativa, la crisi, sui cambiamenti da fare ancora e da aggiungere alla riforma dell’università e delle pensioni e poi torna sul popolo: «Ci sono francesi che hanno la sensazione di essere destituiti del loro potere» dalle «élite, dai sindacati, dai partiti politici». Ecco che se sarà rieletto Sarkozy permetterà al «popolo» di dire la sua tramite referemdum, primo fra tutti sulla disoccupazione, sulle indennità per i disoccupati e sulla loro formazione. Il lavoro sarà «un valore centrale» ma «basta con l’assistenzialismo». «Tutti i disoccupati devono fare un corso di formazione e se c’è un lavoro dopo questo corso devono di accettarlo o non avranno più l’indennità di disoccupazione».
Ogni mezzo è buono per conquistare elettori e così già dalla mattina di ieri Sarkò non ha fatto il suo ingresso in Twitter, raccogliendo subito migliaia di «follower», compresa l’ex moglie Cécilia, che gli ha inviato un in bocca al lupo dagli Stati Uniti. Questione di strategia elettorale. E siccome il gioco si fa duro, il presidente punta sulla squadra che lo ha reso vincente nel 2007. Resta al suo fianco Nathalie Kosciusko-Morizet, ministro dell’Ambiente e d’ora in poi portavoce. Torna l’ex consigliera dell’Eliseo Emmanuelle Mignon, per sviluppare idee e programma, torna Henri Guaino, l’ex gaullista che nel 2006 entrò nella squadra di Sarkò e fu incaricato di scrivere i discorsi del presidente. L’obiettivo? Difendere le promesse fatte cinque anni fa e trovare argomenti all’altezza di chi potrebbe sfoderarli per rinfacciare al presidente mancati traguardi.
D’altra parte di un’iniezione di creatività e fiducia c’è bisogno. I sondaggi - l’ultimo pubblicato ieri da Figaro - indicano addirittura una Marine Le Pen al 20%, seppur ancora in attesa di sapere se raggiungerà le 500 firme necessarie a entrare davvero nella partite. E poi c’è Hollande sempre avanti, 28% contro il 24% di Sarko al primo turno e sempre più avanti a un eventuale ballottaggio (57% contro il 43%). Per questo da oggi stesso per Sarkozy sarà - parole sue - «mobilitazione su tutti i fronti». Non è un caso che gli strateghi del presidente abbiano deciso di rompere il silenzio sulla sua candidatura con tre settimane di anticipo: perché il candidato Sarko possa d’ora in poi presenziare a tutti gli eventi utili. «Vi avverto, faremo campagna dal lunedì alla domenica - ha detto ai suoi - e non dal martedì al mercoledì».
E la campagna si è aperta ieri con grande slancio.

In tv il presidente ha subito sfoderato il suo slogan: «La Francia forte» contro l’obamiano «Il cambiamento è ora» di Hollande. Un motto che punta sul Paese più che sul candidato. Ma che ha uno sgradevole precedente: utilizzato nell’81 da Valery Giscard d’Estaing, regalò l’Eliseo al socialista François Mitterrand.

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