La triste disputa sul carisma dei terroristi

Ruggero Guarini

Le ultime brillantissime battaglie delle nostre procure di lotta e di governo sul fronte anti-imperialistico ripropongono un interessante dilemma antropologico: in un ipotetico Albo d’Oro degli Eroi del Nostro Tempo, a quali campioni della nuova resistenza al drago giudaico-cristiano spetteranno i primi due posti?
Sull’argomento esistono due scuole di pensiero. La prima, che è anche la più apprezzata, assegna il primo posto ai terroristi stragisti e solo il secondo ai loro fan. L’altra, rappresentata da quattro gatti, fra i quali figuro anch’io, vorrebbe invece invertire l’ordine assegnando il primo posto proprio ai fan dei terroristi e solo il secondo ai loro idoli.
Questa seconda opinione sembrerà ovviamente ingiusta a chi pensa che l’umana brama di gloria non rifulse mai come nella gagliarda fede di coloro che votandosi pubblicamente al martirio e al massacro combattono la loro guerra santa contro l’Occidente in campo aperto. Ma i suoi fautori obiettano che molto più ammirevole dell'eroismo fin troppo abbagliante, tanto da sembrare un po’ sfacciato, di quei combattenti dichiarati, è la specialissima miscela di passione, cautela, saggezza, astuzia e modestia che esige l’oscuro lavoro dei tanti valorosi che si accontentano di offrire il proprio contributo alla nobile lotta di quei martiri forse un pochino vanagloriosi combattendo per la loro stessa causa con le armi più sottili e pudibonde della legge e della cultura, dei codici e delle omelie, dei libelli e del diritto. Insomma, stuzzicando il drago nella sua stessa tana, al riparo delle sue barbare istituzioni civili, in cui questi resistenti, rimanendovi rannicchiati, non cessano di dimostrarsi maestri nell'arte di sputare nel piatto in cui si mangia.
Ma il fattore che più di ogni altro dovrebbe obbligarci a riconoscere ai fan dei terroristi stragisti un carisma superiore a quello dei loro stessi idoli non è la prudente sagacia che permette loro di opporsi al Male operando clandestinamente nei fortini del Nemico. È il livello spirituale molto più raffinato della loro visione del mondo, che è di rigorosa grana laica, rispetto a quella, di grossolana stoffa religiosa e per ciò stesso infinitamente più ingenua, dei martiri della Jihad.
Si dà infatti il caso che quei prodi, per decidersi a prodursi sulla scena del martirio e del massacro, abbiano pur sempre bisogno di una fede, anzi di ben due certezze: il fermo convincimento che il loro martirio sarà premiato da Allah con l'assegnazione immediata di un posto d’onore nel suo paradiso; e l’idea altrettanto salda che alla morte del drago giudaico-cristiano seguirà di botto la nascita di un mondo nuovo, nel quale, affinché l’umanità possa finalmente realizzare su questa terra tutti i suoi sogni di felicità e di giustizia, basterà applicare le meravigliose ricette prescritte da Maometto nel Corano.
Ben più lucida e pura è la passione dei nostri laicissimi eroi del partito filoterrorista. Nei loro petti infatti non alberga nessuna fede, nessuna speranza, nessuna certezza, nessuna ricetta.

C'è solo la volontà di distruggere il mondo di cui sono il più infame prodotto. Anzi non c’è neanche quella. C’è solo il piacere di aiutare i suoi nemici a distruggerlo. Con loro insomma il culto della violenza ha raggiunto lo stadio supremo: la fase dell’arte per l’arte.
guarini@ruggero.it

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