Troppi veterinari, la Statale taglia i posti

Concorsi pubblici bloccati, libere professioni che non decollano, mercato saturo: per i laureati in veterinaria l’accesso alla professione è di anno in anno sempre più in salita. Raggiungere un posto è un miraggio e quando succede c’è poco da stare allegri: lo stipendio medio si aggira attorno ai mille euro e pochi spiccioli. Prospettive così grame che l’università Statale su indicazione del ministero ha deciso di correre ai ripari. Arrivando a diminuire di un buon 20 per cento i posti a disposizione per le matricole del prossimo anno accademico.
Una soluzione drastica, per cercare di prevenire l’altissimo tasso di disoccupazione a cui vanno incontro i giovani veterinari in Lombardia. Una scelta caldeggiata proprio dalla presidentessa dell’associazione veterinari della Lombardia Carla Bernasconi: «Sono anni che chiediamo un adeguamento del numero di accessi. Purtroppo le facoltà nascono e seguono logiche che nulla hanno a che fare con le necessità del mondo del lavoro. E adesso ci ritroviamo con un tasso di disoccupati che supera il 50 per cento dei laureati». In Lombardia per la verità di facoltà di veterinaia ce n’è solo una, quella di Milano, eppure in un mercato già saturo ogni laureato in più va ad ingrossare solo le fila dei disoccupati. La ricerca dei dati è stata affidata alla camera di Commercio che nel volume «Il lavoro dei laureati in tempo di crisi», appena pubblicato, rivela come la laurea in medicina veterinaria sia in grave sofferenza. L’indagine è basata sul progetto Specula Lombardia, che ha monitorato i percorsi occupazionali dei laureati lombardi degli anni 2006-2008 nel corso del 2007-2009. In generale non risultano occupati il 44,7 per cento dei dottori veterinari. E se uno su due dopo cinque anni di studio si ritrova a spasso il dettaglio sui laureati nel 2007 e nel 2008 a Milano lascia sgomenti: su 185 laureati in medicina veterinaria nel 2007 ne risultano avviati il 31,9 per cento; nel 2009, su 149 laureati hanno trovato lavoro solo il 26,8 per cento.
«È necessario sbarrare l’accesso alla professione - commenta Carla Bernasconi - non è ancora stata ufficializzata, ma a Milano si passerà dai 162 posti messi a disposizione per l’anno scorso ai 130». Ad essere attratte dalla facoltà di veterinaria sono più le donne che gli uomini (28 contro il 12): la percentuale di donne laureate in medicina veterinaria è del 72 per cento nel 2008. «In Lombardia - spiega ancora la presidente - è consistente il lavoro autonomo professionale, ma per i giovani al primo impiego non sempre assume le caratteristiche di lavoro genuinamente autonomo, piuttosto è talvolta imposto dall'impresa, come escamotage per pagare solo le attività effettivamente svolte e scaricare sul giovane lavoratore i costi contributivi ed il rischio dell’attività di impresa.


Oppure non sempre corrisponde ad una situazione di lavoro effettivo: si apre la partita iva nella speranza di trovare dei clienti che garantiscano un adeguato flusso di lavoro e la si mantiene aperta, in mancanza di alternativa, anche se le commesse sono scarse. I dati sui redditi, largamente inferiori a quelli da lavoro dipendente, avvalorano l'ipotesi di un lavoro autonomo «povero». Il che per un giovane che ha investito su una facoltà lunga e difficile è davvero frustrante.

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