
Più che un'artista, Leonor Fini è stata una forma d'arte a sé. E non solo perché nella sua lunga vita (1907-1996) è stata pittrice, scenografa, costumista, illustratrice, disegnatrice, scrittrice. Nata a Buenos Aires da padre argentino e madre triestina, con una vita nomade tra Trieste, Milano, Roma, Parigi, senza dimenticare l'amata Corsica, Fini non si è dedicata all'arte, l'ha incarnata. Magnetica, ha attratto come una calamita le maggiori personalità dell'epoca: Max Ernst, Man Ray, Dora Maa, Salvador Dalì, Leonora Carrington, Alberto Moravia, Elsa Morante, Jean Cocteau, Anna Magnani, Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini, Luchino Visconti, Elsa Schiapparelli, Christian Dior.
«Sono una pittrice. Quando mi chiedono come faccia, io rispondo: Io sono» è la citazione perfetta che apre la mostra Io sono Leonor Fini, mirabilmente allestita nella sale al piano terra di Palazzo Reale e curata da Tere Arcq e Carlos Martìn, in una grossa produzione con MondoMostre e il supporto dell'Estate Leonor Fini. Si può vistare da oggi e fino al 22 giugno e regala un'immersione nell'immaginifico mondo di una donna difficilmente etichettabile, dalla personalità eccentrica e visionaria, una abituata a prendersi sempre la scena. Scandita in nove sezioni tematiche (ottima scelta per orientarsi nella sua magmatica produzione), la mostra presenta un centinaio di opere tra dipinti, disegni, fotografie, costumi e video. Gli scatti in bianco e nero e gli spezzoni dell'Istituto Luce che la vedono protagonista sono fondamentali per osservare da vicino questa donna nata dall'altra parte del mondo, abituata a travestirsi da uomo perché amava trasgredire e sorprendere, poi allieva e compagna di Achille Funi che la porterà a Milano a conoscere Carrà, Sironi, De Chirico. Qui in città Fini tornerà anni dopo per collaborare con la Scala e in mostra una bella sala è dedicata proprio ai suoi meravigliosi bozzetti per le scenografie. «La furia italiana» (sono le parole di Max Ernst) lascerà poi Funi e andrà a Parigi per immergersi nel Surrealismo.
Di questa fase la mostra a Palazzo Reale riprende i temi ricorrenti come la sfinge (alter ego dell'autrice) e l'uomo inerme, che è un'immagine nata da una visita in obitorio che diventerà tipica del suo modo di osservare il corpo maschile. Leonor Fini, che fu ritrattista richiesta all'epoca e collezionò collaborazioni importanti, come quella con Elsa Schiapparelli per la quale ideò una boccetta di profumo con busto femminile, mentre era al centro della scena mondana di New York e Montecarlo e si dilettava a organizzare epiche feste, coltivava una sorta di pulsione alla morte che la mostra a Palazzo Reale ben indaga nell'infilata di nature morte e di dipinti dal gusto macabro («Le Bout du monde», del '48, è il suo capolavoro).
Il cuore della mostra è dedicato alla sessualità dirompente e anticonformista di questa donna che infine ci fissa, magnetica e sfuggente, prima dell'uscita. L'«Autoritratto con cappello rosso», in prestito dal museo Rivoltella di Trieste.
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