Tutti in coda per l’irriverente comicità di «Borat»

Giacomo Legame

Si chiama Sacha Baron Cohen, un nome che è tutto un programma. È un attore, protagonista dei suoi finti documentari esilaranti e provocatori che hanno già fatto sganasciare dalle risate mezzo mondo, e per i quali è stato anche tacciato di antisemitismo (roba da ridere davvero visto che è ebreo e per giunta ortodosso).
All’estero è già leggenda, oggi sbarca in Italia per presentare in anteprima mondiale alla Festa Borat: cultural learnings of America for make benefit glorious nation of Kazakhstan, che rischia di rivelarsi il vero successo di questa manifestazione.
È già tutto esaurito per la proiezione che si terrà questa sera alle 22.30 alla Sala Sinopoli. Ancora qualche speranza per conquistare la poltrona per la replica a mezzanotte al PalaRomaUno. Nel film l’attore comico (e definirlo comico è quasi riduttivo, visto che quando vengono proiettati i suoi fantadocumentari gli spettatori hanno le convulsioni dalle risate), in Borat diretto da Larry Charles veste i panni di un giornalista del Kazakhstan, inviato negli Usa per realizzare un documentario sul cosiddetto «american way of life».
Nel corso del suo lavoro, incontra, attraverso lo schermo televisivo Pamela Anderson. È colpo di fulmine, chiaramente a senso unico. Il protagonista si innamora della sex symbol d’oltreoceano e comincia a trascurare il suo lavoro. Decide di sposarla, ma prima di farlo deve avere qualche garanzia sulla donna, quindi verificare i precedenti di malattie in famiglia, per poi mettere in scena un rapimento che ha molto poco di romantico.


Borat in America è un vero e proprio caso, è apparso sulle pagine di tutti i maggiori giornali, come il New York Times per esempio. La sua satira paradossale, pungente e che sfida tutto e tutti, è stata decantata ed anche stroncata. Ma per lui l’importante è che se ne parli.

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