Da «Ultimo» al tenente Canale, i flop di Caselli

«L’assoluzione del colpevole condanna il giudice». Improbabile che il giudice Caselli abbia letto qualche scritto di Publilio Siro. Tuttavia, nel caso la prendesse a male per questa frase e volesse denunciarlo, sappia che il misconosciuto drammaturgo, autore di questa citazione, non è più querelabile, essendo vissuto nella prima metà del I secolo avanti Cristo.
Premesso questo, alla luce della sentenza del Tribunale di Palermo, quinta sezione penale, presieduto da Patrizia Spina, che ha assolto l’imprenditore Nicola Grauso e con lui l’avvocato Luigi Garau e il giornalista Antonangelo Liori dall’accusa di estorsione e tentata estorsione nei confronti di Tito Melis, padre di Silvia, rapita in Sardegna nel 1997, processo varato a suo tempo da Caselli, qualche riflessione si impone.
Si è accorto o non si è accorto il giudice Giancarlo Caselli di quante vittime ha fatto, anche se certamente non lo ha fatto deliberatamente, nel corso della sua carriera e, in particolare, durante il suo soggiorno nel capoluogo siciliano nelle vesti di procuratore capo? Di quanti, da lui rapidamente sbattuti alla gogna come fossero i peggiori malfattori, con processi più o meno mediatici, solo dopo anni e anni, sono stati riconosciuti innocenti? Incidenti di percorso, certo. Che accompagnano la vita di ogni magistrato, probabilmente. Mettiamoci pure un destino cinico e baro. Ma purtroppo anche atroci realtà, finite sulle prime pagine dei giornali in questi anni.
Si sarà accorto il giudice Caselli, per esempio, che qualcuno come il suo collega, il giudice Luigi Lombardini - pure lui, guarda le coincidenze, sospettato di estorsione nell’ambito del sequestro della Melis -, dopo un interrogatorio, diciamo «molto incalzante» si tolse la vita, sparandosi nel suo ufficio. Era l’11 agosto del 1998. E il maresciallo Antonino Lombardo suicida in caserma nel ’95? Lombardo, ovvero l’uomo che voleva a tutti i costi che Badalamenti venisse in Italia a deporre al processo Andreotti, era il cognato di Carmelo Canale, il tenente dei carabinieri che da eroe ed ombra del giudice Paolo Borsellino, si è ritrovato improvvisamente come in un incubo, indagato da Caselli. «Nino - ricorda oggi Canale - era il comandante della stazione dei carabinieri di Terrasini. Passato al Ros di Roma, si sparò dopo che Leoluca Orlando e l’allora sindaco di Terrasini, Manlio Mele, lo attaccarono in tv, nella trasmissione di Michele Santoro Tempo reale del 23 febbraio 1995. Dissero che anche lui era colluso. E invece Nino, marito di mia sorella, aveva contribuito alla cattura di Totò Riina, con i suoi con confidenti, le sue fonti». Quanto allo stesso Canale, oggi capitano dei carabinieri, incastrato come presunta talpa, accusato di essere un ufficiale corrotto, capace di organizzare perfino un pranzo per realizzare una strage, solo dieci giorni fa è stato definitivamente assolto da quelle pesantissime accuse dalla quinta sezione della Cassazione, che ha respinto il ricorso presentato dalla Procura generale di Palermo contro di lui, già assolto in primo e in secondo grado, e ha chiuso così un’indagine e un processo estenuanti: Canale era indagato dal 1996 e rinviato a giudizio nel 1999. «Assolto perché il fatto non sussiste» ha sentenziato il presidente del tribunale, Antonio Prestipino .
Poi, visto che stiamo sfogliando l’album dei fatti e solo dei fatti, senza sforzarci di interpretarli, senza accusare nessuno, come non ricordare i nove anni di linciaggio mediatico-giudiziario alla fine dei quali è arrivata l’assoluzione piena anche per il deputato dell’allora Forza Italia, Gaspare Giudice. Giudice, nel giugno del 1998 scopre di essere stato indicato dai soliti premurosi collaboratori come un referente dei boss. E puntualmente viene incastrato. Prove? Nessuna. A meno di considerare prove le vaghe dichiarazioni dei soliti pentiti a orologeria. Fatto sta che, dopo nove anni, un altro giudice, Angelo Monteleone, ha pensato bene di cancellare le accuse di associazione mafiosa contestate al parlamentare.

Oltre a Giudice, sono parecchi gli assolti eccellenti dopo altrettante inchieste «caselliane»: da Giulio Andreotti all’«ammazzasentenze» Corrado Carnevale, dal presidente della provincia di Palermo, Francesco Musotto all’ex senatore di An Filiberto Scalone, a tanti altri, compresi altri due carabinieri discretamente noti come il generale Mori, e Sergio De Caprio, meglio conosciuto come il mitico capitano «Ultimo».

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