Da una parte l'arte e la vita, anzi l'arte è la vita. Dall'altra, l'arte e la politica, anzi l'arte è la politica.
Tra arte, politica, avanguardia, inquietudini (è stato tra gli artisti più grandi e più impazienti del nostro Novecento), pittura rivoluzionaria, scultura moderna, culto della Patria, identità nazionale e «la bella morte» si compì la vita di Umberto Boccioni, purosangue romagnolo, famiglia originaria di Rimini, nato nel 1882 a Reggio Calabria solo per un ritardo burocratico (il trasferimento del padre alla Prefettura di Forlì non arrivò in tempo) e morto giovanissimo, a 33 anni, divorato insieme con la sua generazione dalla Grande guerra, sola igiene del mondo, nell'agosto del 1916, senza neppure fare in tempo a diventare fascista. Causa: una antieroica caduta da cavallo. Fu un caso, un incidente, certo. Ma perché non pensare al cavallo (animale totemico del Futurismo per la velocità e la forza, l'opera Cavallo + cavaliere + caseggiato del 1913, Dinamismo di un cavallo in corsa + case dipinto nel 1915 per rappresentare la sua teoria di compenetrazione tra corpo e ambiente, e poi il cavallo principio di vita e macchina di morte...) come simbolo della vitalità, dell'energia e del desiderio che furono propri di Boccioni, l'uomo che voleva dipingere la velocità?
La premessa. Umberto Boccioni assieme a Amedeo Modigliani e a Giorgio de Chirico è stato l'italiano che ha più inciso nella storia dell'arte del primo Novecento, e forse anche oltre. È stato il nostro Picasso eternamente giovane. Ribelle, antitradizionale - bellezza moderna versus bellezza antica - insieme epico, eroico, erotico, tragi-comico. La vita come un poema.
Le conclusioni. Quello che resta di Boccioni, ciò che ci ha lasciato, è enorme. Citiamo tre cose. Le sue opere, sparpagliate nei più grandi musei dal mondo, dal MoMa di New York a Milano. La sua teoria, di grandezza pari alla pratica (lo scritto Pittura, scultura, futuriste. Dinamismo plastico, uscito nelle Edizioni futuriste di «Poesia» nel 1914). E un modo nuovo, moderno, di fare e di vivere l'arte. Umberto Boccioni era un creatore, un esploratore prima che un pittore o uno scultore.
Lo svolgimento. La biografia ragionata della storica e critica d'arte Rachele Ferrario Umberto Boccioni. Vita di un sovversivo (Mondadori) che in 350 pagine di testo e 50 di note, scavalcando la categoria di «saggio divulgativo» e approdando a quella di «saggio scientifico», ricostruisce la troppo breve ma straordinaria performance sul palcoscenico dell'arte di un innovatore che volle fondere la natura dell'uomo con la sua espressione artistica. Si chiamano giganti.
(Auto)ritratto sintetico e dinamico di Umberto Boccioni. Studente ben poco brillante (ma con un talento innato per il disegno) che comincia a pensare per immagini attraverso la scrittura: prima è giornalista, romanziere, poeta, poi diventerà pittore e dopo scultore. Fin da giovane sciupafemmine (oggi direbbe anche: maschilista). Il primo incontro fondamentale è con Gino Severini, altro provinciale che conquisterà il mondo e il secolo (i genitori fanno anche lo stesso mestiere: papà usciere, mamma sarta). Dettato artistico-filosofico che segna la sua vita: «La realtà va interpretata, non copiata». Maestri e amici imprescindibili: Balla, Sironi, Romolo Romani, Luigi Russolo, Carlo Carrà (ma a un certo punto litigano, e poi fanno pace), Sant'Elia, Marinetti... Tratti caratteriali: un legame patologico con la madre (sviscerato dall'autrice in tutta la biografia lungo la direttrice Arte-Madre-Patria), incostanza, volubilità, malinconia, individualismo, una particolare predisposizione all'avventura e al rischio, una marcata insofferenza a schemi e canoni, una potente ambizione (che lo trascinerà a Parigi, la prima volta nel 1906, e poi in giro per l'Europa, dalla Russia a Berlino), e una indubbia eleganza (nelle risse futuriste stava molto attento a non strapparsi gli abiti). Ossessioni: rappresentare il movimento dei corpi nello spazio, a cui dedica tutto se stesso e la sua arte. Amori: la russa Augusta Petrovna Popoff (dalla quale ha un figlio, che di fatto non vedrà mai), Margherita Sarfatti, gelosissima del suo «mugik», Sibilla Aleramo e infine la principessa romana Vittoria Colonna, con la quale visse gli ultimi giorni di un incantesimo d'amore, segreto e brevissimo (strano: i futuristi finiranno per sposarsi tutti, tranne lui). Città che non sopporta: Venezia (lenta, passatista). Città che ama: Milano (energica, moderna). È qui - verso il futurismo! - che Umberto Boccioni realizza e ambienta le sue opere più importanti - Rissa in Galleria, 1910, La città che sale, 1911, che dipinge la vita cittadina dell'epoca - ed è qui che diventa famoso ed è qui che diventa capofila dell'avanguardia futurista. Parola magica dal punto di vista umano e artistico: azione. Idea primordiale: «Non esiste nulla d'immobile». Che applica a tutto: tram, caffè, persone, sentimenti, stati d'animo.
Pensiero, azione, arte.
E alla fine, sarà la guerra. Interventista, nazionalista, patriota e italiano, Umberto Boccioni non si limita a parlare di guerra, o a gridarla. Ci va. Prima nel Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti Automobilisti (è il «plotone degli artisti», e ci sono tutti: lui, Marinetti, Funi, Sironi, Sant'Elia, Erba, Bucci, Piatti, Russolo...), da Gallarate al fronte; poi nell'Artiglieria da campagna. E la cosa più statica in cui si imbatterà in tutta la sua vita è la trincea.
Umberto Boccioni muore il 16 agosto 1916 nella campagna di Sorte, Verona, nelle retrovie. Il suo cavallo s'imbizzarrisce, lui cade, batte la testa, il piede resta incastrato nella staffa, il corpo trascinato a lungo tra le zampe dell'animale terrorizzato.
Resta una domanda. È il Futurismo che fa Boccioni o è Boccioni che fa il Futurismo?
La risposta (nessuno dei due sarebbe stato lo stesso senza l'altro, naturalmente) è nella «vita che sale» raccontata da Rachele Ferrario con rigore e passione, quella di Umberto Boccioni, artista rivoluzionario e figlio di un tempo che doveva ancora venire (la scultura Forme uniche della continuità nello spazio tutto sembra tranne un'opera del 1913) e di uno spazio in cui si sentiva, dovunque si trovasse, troppo stretto.
Look, carisma, sfrontatezza, istinto per la comunicazione e soprattutto l'idea di
far coincidere non solo l'arte e la vita, ma anche il tempo e lo spazio. Ecco cosa ha fatto di Umberto Boccioni non solo il precursore della figura dell'artista moderno. Ma l'uomo che narrò il suo mondo in un modo nuovo.
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