Gli Usa all’Italia: in Somalia è caccia ai terroristi

Immediata replica alle critiche del nostro governo e dell’Ue: "Nel mirino ci sono uomini che hanno attaccato l’America o i nostri amici e alleati". La Casa Bianca ha spiegato di essere consapevole della necessità di non "creare ulteriori problemi", ma di essere costretta a fare "scelte difficili"

Gli Usa all’Italia: in Somalia è caccia ai terroristi

Attendete prima di criticare e sappiate che per combattere il terrorismo bisogna saper fare «scelte difficili». Il monito americano dopo le affrettate condanne lanciate da Europa e governo italiano alle operazioni antiterrorismo in corso in Somalia arriva per bocca del portavoce del Dipartimento di Stato americano Sean McCormack. «Gli esponenti del nostro governo coinvolti negli sforzi antiterrorismo sono pagati per fare scelte difficili, spiega il portavoce rivelando che in Somalia è in corso una «caccia contro terroristi che hanno già colpito gli Stati Uniti, i loro interessi e i loro amici e alleati». «Vogliamo essere certi che questi individui non fuggano dalla Somalia, dove disponevano di un rifugio sicuro e di protezioni». Subito dopo fa McCormack spiega agli europei che le iniziative militari in corso non sono una cieca caccia all’uomo, ma sono dettate dalla seria necessità di prevenire altri attacchi. Washington nell’interpretazione del Dipartimento di Stato ha già analizzato costi e benefici del suo comportamento e si è orientata «verso la necessità di proteggere il popolo americano e gli interessi americani». Secondo il portavoce le limitate informazioni fornite agli alleati sono l’inevitabile conseguenza dei limiti imposti dalle esigenze militari e di intelligence.
Il più sollecito a prendere le distanze dalle condanne del ministro degli Esteri italiano Massimo D’Alema è il vicepresidente della Commissione europea, Franco Frattini. «La Somalia – secondo Frattini - sta diventando una delle basi principali di al Qaida e dei fondamentalisti quelle basi costituiscono ovviamente una grande minaccia per il mondo intero e vanno combattute». Il problema per Frattini non sono gli americani, ma i terroristi che «minacciano noi europei e tutto il mondo».
Nelle inaccessibili regioni meridionali della Somalia si combatte intanto una guerra segreta, invisibile e indecifrabile. In quella trappola per topi stretta tra la frontiera keniota, l’Oceano pattugliato dagli americani e il cielo battuto da velivoli-killer senza volto e senza bandiera fuggono i proconsoli di al Qaida e i capi delle Corti Islamiche. Ma fugge anche la verità e si confonde la cronaca. Ministri, deputati e testimoni somali fanno a gara nel confermare almeno quattro nuovi attacchi americani intorno ai villaggi di Hayo Garer, Bankajirow e Basmadowe. Ma il bilancio delle vittime sembra una lotteria. Secondo i resoconti arrivati da Afmadow, i morti superano la sessantina e i feriti il centinaio. Abdirashid Mohamed Hidig, un deputato somalo impegnato in un sopralluogo delle zone colpite parla di una cinquantina di cadaveri, ma ammette di non saper dire se siano stati uccisi da elicotteri americani o etiopi. «In questo momento l’aviazione americana sta bombardando le zone intorno a Ras Kamboni», ripetevano ieri mattina funzionari del governo di Mogadiscio riferendo di una serie di attacchi a un santuario di al Qaida già colpito in precedenza dagli elicotteri di Addis Abeba. Ma la presenza davanti a quel villaggio costiero di tre navi da guerra Usa, l’annunciato arrivo della portaerei Eisenhower e la prima incursione aerea ammessa dal Pentagono sembrano aver scatenato la psicosi dell’intervento americano. Washington per ora ammette soltanto il raid condotto lunedì notte dalla cannoniera volante AC-130 contro una colonna di fuoristrada e camion in fuga intorno ad Afmadow. Le fonti del Pentagono si guardano bene dal confermare la morte di Fazul Abdullah Mohammed, il sodale di Osama Bin Laden accusato di aver pianificato nell’estate del ’98 gli attentati alle ambasciate americane in Kenia e Tanzania. «Non abbiamo ragioni per ritenere sia stato ucciso», ripetono gli anonimi funzionari della difesa americana. Per il governo provvisorio somalo la sua eliminazione è invece verità assodata. «Ho in mano un rapporto americano in cui si sostiene che Fazul Abdullah Mohammed è morto», ripete a Mogadiscio il capo di gabinetto presidenziale Abdirizak Hassan. Fonti d’intelligence americane si limitano a confermare l’uccisione nel raid di cinque o dieci militanti non identificati. La versione concorda in parte con quella del premier etiope Meles Zenawi che attribuisce all’alleato americano una sola incursione aerea e cita la cifra di «otto terroristi uccisi», ma vi aggiunge l’ermetico dato di cinque militanti catturati. L’ammissione, non chiarita, fa presupporre la presenza sul terreno di forze speciali americane o, in alternativa, un successivo intervento dei soldati etiopi. In questo clima confuso si moltiplicano gli annunci sulla presenza vera, presunta o semplicemente auspicata di consiglieri militari e forze speciali americane. «L’unico modo per far fuori tutti i terroristi di al Qaida è avere le forze speciali sul terreno, solo loro hanno le capacità e l’equipaggiamento per dar la caccia a quella gente. Non sono ancora qui, ma è solo questione di tempo», sostiene e prevede Hussein Aidid, un vicepremier somalo con un passato nei marines americani. A confermare i suoi auspici contribuiscono altre fonti del governo che danno già per certa la presenza di consiglieri militari tra americani tra le avanguardie etiopi.

Il Pentagono si guarda bene dal confermare, ma alcuni suoi alti ufficiali fanno capire che qualsiasi operazione aerea messa a segno sul suolo somalo deve per forza esser stata seguita e accompagnata da un «occhio esperto» sul terreno.

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