Veltroni scontenta gli atei e irrita i credenti

È difficile (se non per pochissimi) piacere a tutti. Sia per i vivi, sia per i morti. Da morti si migliora, ma anche in quella deprecata condizione, a me resterà difficile. Lo si capisce bene con questa storia della titolazione delle strade. Per quanto si faccia, c'è sempre qualche scontento, per il nome che non c'è, o per l'insufficiente gradimento di quello che c'è. Ne sono stati vittime perfino due generalmente molto amati, un vivo e un morto, Walter Veltroni e Papa Wojtyla. Mentre Milano si è arenata sul nome difficile, e assai controverso, ma in parte riscattato dal senso di colpa di molti a sinistra come a destra (meno l'inossidabile Di Pietro, nel quale il politico resta sempre sovrastato dal magistrato), a Roma incredibilmente si è rimproverato a Veltroni di avere dedicato la stazione Termini a Giovanni Paolo II. La motivazione è risibile, e poteva toccare a un papa, il più tollerante e aperto, soltanto in questi tristi tempi. Alla becera contestazione si sono accomodati la sinistra antagonista, il quotidiano Liberazione, i Comunisti italiani, la sinistra Ds, sommamente riottosa a farsi petalo di una nuova Margherita, e naturalmente la Rosa nel Pugno con il ripetitivo Pannella che propone come alternativa il nome del sindaco di Roma, laico ebreo massone Ernesto Nathan: tutti questi soggetti, grottescamente anticlericali, davanti a un uomo degno d'onore, e quindi di parte (non vi è onore nel piacere a tutti senza farsi riconoscere) hanno fatto propria la protesta di quel cittadino capriccioso e pierino che si era sentito offeso dalla nuova intitolazione della stazione considerata «un atto di imperio tale da offendere i passeggeri laici e quelli delle diverse confessioni religiose». Un cretino. Sarebbe come se un pittore astratto si offendesse per una strada dedicata a un pittore figurativo, Mitterrand si fosse offeso per una dedica a De Gaulle, o io contestassi una strada dedicata a Zeri. Allo stesso modo, un democristiano non dovrebbe accettare via Berlinguer e un comunista via Moro. Un cattolico dovrebbe chiedere la detitolazione di via Darwin, e un evoluzionista ateo dovrebbe chiedere l'abolizione di largo Pio X. Scosso dalla sua radicata convinzione di piacere a tutti, Veltroni ha fatto la mossa sbagliata: ha ritirato il nome di Giovanni Paolo II dalla stazione, in verità già nominata nel modo più pertinente e minaccioso: Termini. E così, dopo aver scontentato gli atei, è riuscito a irritare anche i credenti. Ed è stato giustamente bacchettato dall'Osservatore Romano.
Abbiamo evitato questo rischio a Milano dove, dopo un attimo di incertezza, si è confermata la mia proposta, molto apprezzata dalla Curia, di intitolare il Parco delle Basiliche a Giovanni Paolo II. Milano batte Roma 1 a 0. Ma i nodi difficili a Milano, erano e restano altri. L'amministrazione, devo dire, è, in larghissima misura, incolpevole. La responsabilità è tutta mia. E me la assumo volentieri avendo, su iniziale stimolo della Moratti per onorare la memoria di Oriana Fallaci e di Camilla Cederna, colto l'occasione per colmare numerose e colpevoli (forse per distrazione) lacune, arrivando a proporre e predisporre la delibera, che la Giunta comunale ha approvato, per ben 21 tra strade, parchi e giardini. Milano aveva dimenticato, fra gli altri, Giovanni Testori, Valentino Bompiani, Renata Tebaldi, Bruno Munari, Giorgio Strehler, ai quali io ho ritenuto di aggiungere i non milanesi Leonardo Sciascia, Carmelo Bene, Gino De Dominicis, e il triestino fondatore della casa editrice Adelphi Roberto Bazlem. Ma se letteratura, teatro e editoria mi sembravano, in tal modo, ben rappresentati, non trovavo giusto dimenticare interpreti, attori e cantanti come Walter Chiari, Wanda Osiris ed Ernesto Calindri, innalzando alla dignità di poeti, che meritano tutta, Fabrizio de André e Giorgio Gaber.
Compiaciuto delle scelte, e sentendomi, con qualche disagio, più veltroniano di Veltroni, non sono però riuscito ad ottenere il plauso che mi aspettavo. Ancora polemiche, ancora veleni, e non solo per Craxi. Ma soprattutto per Camilla Cederna, il cui nome appariva tanto più controverso dopo l'iniziativa, peraltro da me auspicata, di una stele commemorativa a Luigi Calabresi da parte del presidente della Provincia Filippo Penati e dopo la rivalutazione di Giovanni Leone da parte del presidente Giorgio Napolitano. Non risolutiva, ma suggestiva, era la proposta di Claudio Risé di dedicare una strada o un giardino ai fratelli Cederna, la scrittrice Camilla e il fondatore di Italia nostra Antonio. Pur non potendola accettare, non trattandosi di corrispondenti dei fratelli Cervi, ho accolto il suggerimento di ricordare il benemerito Antonio Cederna, personalità tanto rigorosa e severa quanto non controversa (potrà così accadere che un giorno, non potendosi superare le obiezioni sulla mia condotta e sul mio carattere, anche da morto, si scelga di dedicare una strada a mia sorella). Ma le difficoltà oggettive, che vanno oltre la mia volontà, non meritavano il giudizio negativo di Rosellina Archinto e anche dei familiari dei Cederna, a cui l'affetto non dovrebbe imporre di condividere ogni affermazione, anche discutibile, di Camilla. Ma mi pare sommamente ingeneroso non riconoscere l'importanza di aver ricordato Antonio Cederna e, parimenti, Testori, Bompiani, Bazlem, Sciascia, e ovviamente Strehler (anche se l'incontentabile Escobar avrebbe desiderato un indirizzo più centrale come se un luogo relativamente periferico, e pur bellissimo, non fosse degno di Strehler, poeta per i soli cittadini del centro).
Liquidando la classe politica (in questo caso io) come «piccina, povera di idee, di immaginazione e di futuro», con la ridicola ed esagerata considerazione (e una smorfia di amarezza): «Sarebbe meglio scappare da questa città che esprime una classe politica così provinciale, così piccola di statura culturale. questi politici sono dei poveretti. Evidentemente non sanno nemmeno chi è la Cederna, sono troppo ignoranti». Così viene trattato dall'Archinto il Veltroni che è in me. Per fortuna, Camilla Cederna non è Giovanni Paolo II. Resta la consolazione del volo alto, nobile e riconoscente di una donna straordinaria sopra il chiacchiericcio dei salotti radical chic milanesi: Fernanda Pivano. Il suo civile, riconoscente, sereno commento, fra tanti patetici mugugni è: «Le strade per Gaber e De André. Una vittoria, la cultura è in festa. Vorrei poter coprire di fiori quelle due strade, vorrei coprire di fiori chi ha scelto questi due nomi per impedire a tutti i cittadini di dimenticarli. Credo che da ringraziare sia l'assessore Sgarbi; lo ringraziamo ora pubblicamente per questa azione di grandissima cultura che conduce nella storia i nostri due grandi interpreti dei sogni italiani più o meno irrealizzabili.

Sono loro che ci hanno ridato con le loro denunce un po' di fiducia nel futuro. Allora grazie alle autorità milanesi che hanno voluto e realizzato queste strade». Milano-Roma: 3 a 0. Tra biasimi e lodi, per superare l'ignoranza, la Cederna ci limiteremo a leggerla.

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