Veltroni sogna da superpremier: «In campo con l’elezione diretta»

Dopo gli annunci di un ritiro a fine mandato, il sindaco cambia idea: «Resterei se...»

Luca Telese

da Roma

Fermi tutti. Walter scende in campo, regalando al mondo un condizionale: «Il mio impegno fino al 2011 è come sindaco. Ma potrei restare in politica se le condizioni cambiassero». Leggi bene: potrei restare. Subito dopo, per farti capire che non hai capito male, tre frasette che in bocca a lui sono già un programma da terza Repubblica: «Potrei restare, ad esempio, se ci fossero l’elezione diretta del premier, maggiori poteri per il primo ministro e un sistema bipolare». Fermate le rotative. Insomma, dopo dieci anni di progetti africani e altre vite coltivate con fantasia ipotetica - direttore di quotidiani, regista, autore di best seller scritti in nottate insonni, compilation jazz, doppiaggi disneyani, festival e notti bianche, di frasi come «Sì, penso all’uscita di scena e ne parlo adesso per chiudermi la porta dietro. Lo farò» (intervista a Concita De Gregorio, sul Venerdì solo la settimana scorsa!) - insomma, dopo tutto questo il sindaco di Roma cambia marcia con due annunci elettrochoc per i cadaverici equilibri della politica italiana: dice che è pronto a scendere in campo per il dopo Prodi, e che la sua piattaforma è l’elezione diretta del premier. Roba da fa rizzare i capelli (anche quelli nuovi esibiti al meeting) persino a Silvio Berlusconi. Se queste parole Veltroni le avesse consegnate a qualche giornalista «laureato», aprivano i tg, e riempivano paginate di commenti. Animavano comitati di registi per le primarie dal vecchio amico Ettore Scola, al nuovo fan Gianni Amelio (indimenticabile il suo: «Walter: Patricio sono io!»). Ma siccome lo scoop lo fa il più anonimo «Lem» dell’Ansa, La Repubblica fa un colonnino a pagina 22 e un titolo da prima: «L’annuncio di Veltroni. Mi candido se il premier avrà più poteri». Lo stesso spazio, a pagina 23 a «Il giallo dello yacht».
Possibile? No. Così, occorre riordinare gli indizi per capire. Diceva il grandissimo Alfred Hitchcock: «Il miglior posto in cui un ladro può nascondere una collana di diamanti è un acquario». E siccome a Veltroni si può rimproverare tutto, tranne di non essere uno dei migliori comunicatori politici, la prima cosa da pensare è che quella notizia stia in un colonnino-acquario perchè il sindaco voleva che stesse lì: non girata a una grande firma, ma accolta da un cronista di agenzia, fltrata con tutta la delicatezza omeopatica di cui Veltroni è capace. Se ti chiedi perché, sia andata così, devi ripercorrere a ritroso il sentiero di notiziole-mollechine che Walter lascia dietro di sé in questi giorni. Lo scenario è un ennesimo salto di qualità: mentre con la solita precisione svizzera, arene e sale cinematografiche del centrosud già programmano gli spot della «notte bianca» veltroniana (quella della consacrazione, malgrado black out o nubifragi), il sindaco parte all’attacco sul suo cine-festival, con tre mosse di scuola che fanno impazzire il nume di Venezia Marco Muller: cosparge di sei per tre la capitale e anticipa il calendario (violata una tregua concordata con il Lido, altro che le katiusce di hezbollah), alimenta polemiche sui film rifiutati (a cui lui dà asilo politico) rende noto l’arruolamento di un altro monumento dello star system mondiale, dopo Sean Connery, Nicole Kidman. Negli stessi giorni si consuma la fine dell’alleanza tattica con Francesco Rutelli, che doveva sostenere il partito democratico: il leader della Margherita (dopo aver affondato il veltroniano Goffredo Bettini al ministero) prima lo attacca per la mediazione sulla vertenza tassisti, e poi attacca il sindaco sui Beni culturali (Il Foglio ribattezza argutamente «guerra etrusco-romana»). E quindi, con dichiarazioni sparse tra Roma e Cortina, avvia la sua Bad Godesberg privata: da possibile ambasciatore Onu nel Terzo mondo a rifondatore della sinistra italiana in due giorni. Il punto di partenza è la disillusione sul partito democratico, che a sinistra vuole solo lui e che - per dirla con Peppino Caldarola - «sta a metà fra l’archivio e il frigorifero».
Preso atto che partiti e caccicchi dicono «no», che a Prodi bastano Palazzo Chigi e i messaggi in videocassetta alle convention, Walter mette in campo tutto quel che ha: se stesso. Prima dice: «Sono più pessimista che in passato, vedo troppi sì-ma, e non so se ci sia la voglia o il coraggio di compiere quel passo». Poi ipotizza: «Serve una sede costituente dove le forze politiche dell’uno e dell’altro schieramento si ritrovino per scrivere insieme le regole dell’assetto istituzionale». Quindi il primo assaggio: «Scenderò in campo solo se ci saranno mutazioni radicali istituzionali e politiche» (28 agosto). Adesso si capisce: ha in mente l’elezione diretta. Intanto torna un altro affezionato nemico, Massimo D’Alema. Che saluta l’esordio romanzesco con una battuta al vetriolo: «Vorrei scriverlo io il libro sulla mia generazione... ma non ho tempo». Walter invece il tempo ce l’ha.

E il suo La scoperta dell’Alba (Rizzoli, 16 euro) si chiude con una frase meravigliosa: «Ora si scriverà la mia storia, così avrò vissuto davvero». Vuoi vedere che il prossimo libro di Veltroni si intitola Palazzo Chigi?

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